La morte a 96 anni di Licio Gelli riapre le ferite della storia italiana e non solo. L’ex maestro venerabile della Loggia P2 porta con sé segreti e misteri. Per capire meglio chi sia stato ospitiamo volentieri l’intervento di Tito Barbini, per anni esponente di spicco ad Arezzo del Partito Comunista prima, del Pds e Ds in seguito, ricoprendo incarichi importanti quali sindaco di Cortona, presidente della Provincia di Arezzo e poi assessore della Regione Toscana. Oggi Barbini fa lo scrittore e proprio in queste ore stava scrivendo un capitolo dedicato al “suo” concittadino Gelli per un libro dal titolo “Quella idea che ci era sembrata così bella” che si promette di raccontare gli ultimi quaranta anni di storia di Arezzo.
“Sono fascista e morirò fascista”, amava ripetere spesso Licio Gelli. Ha mantenuto la promessa l’ex Venerabile della Loggia P2. È deceduto nella sua lussuosa dimora, Villa Wanda, proprio nelle ore in cui mi accingevo a scrivere questo capitolo. È una morte invidiabile, per la gente comune, quella di Gelli. Gratificante, semmai la morte può esserlo. Aveva 96 anni. Ma il personaggio non è rimpianto da nessuno, a parte i familiari, che non è poco. Una gran parte degli italiani probabilmente ignora chi fosse Licio Gelli e la sua morte in tarda età di questo “burattinaio di potenti” – come amava definirsi – susciterà nei più solo una vaga curiosità.
Una storia ricca di intrecci Quanti intrecci con la storia che sto raccontando e quanti segreti ancora non svelati che riguardano il periodo in cui sono stato a capo dei comunisti aretini. Voglio raccontarli di nuovo: troppe volte si è tentato di insabbiare questa vicenda. E allora: i giudici di Milano, nell’ambito di una inchiesta sul presunto rapimento di Michele Sindona, avvocato e uomo d’affari legato alla mafia, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, Villa Wanda, e la fabbrica di proprietà dei fratelli Lebole, la Giole di Castiglion Fibocchi. Fu così che saltò fuori la lista dei quasi mille iscritti alla Loggia P2. Questi i fatti che riguardano il mio concittadino che ci ha appena lasciato. Un’ombra su tutta la storia nera d’Italia. Dal golpe Borghese alla strage di Bologna, dal caso Moro all’omicidio Pecorelli, dalla Mafia a Mani Pulite. Ma andiamo per ordine. Tristemente famoso anche per aver diffamato e calunniato i giudici Turone e Colombo in merito alla vicenda della strage alla stazione di Bologna del 1981. Ma chi era questo Gelli, il venerabile di Arezzo? Come è stato possibile che uno strano individuo dal passato torbido e inquietante abbia segnato la storia di un intero Paese? Forse vale la pena ricordare di quale pasta era fatto.
Gelli e la dittatura militare in Argentina e in Cile Federico Gelli, ex ufficiale nazifascista, ex trafficante di sigarette, ex galeotto, ex fabbricante di materassi. Nessuno potrà mai sapere il ruolo che ha avuto nella dittatura militare in Argentina e in Cile. La tragedia dei 40mila desaparecidos fatti assassinare dal regime, a cui si aggiungono i 15mila prigionieri politici fucilati secondo legge marziale, da noi è esplosa solo dopo la scoperta e la pubblicazione dei 962 nomi degli iscritti alla P2. Fu allora che, seguendo gli inquietanti percorsi della segreta Loggia, si arrivò in Argentina. Due dei responsabili militari della giunta golpista, l’ammiraglio Massera e il generale Mason, erano infatti iscritti alla P2. In Sudamerica Licio Gelli era ben conosciuto da tempo. Era diventato consulente di Isabelita Perón e di López Rega, era il principale consigliere economico finanziario dell’ambasciata argentina di Roma. Un consulente finanziario con la sola licenza di scuola elementare! Era stato buttato fuori da tutte le scuole del Regno per aver dato un calcio a un preside antifascista. Con i suoi contatti, aveva creato una filiera assai estesa: in Cile, Uruguay, Paraguay. Ovunque regnassero tortura e repressione aveva assunto il potere.
Gelli e i lingotti d’oro Il processo a Gelli non si concluse solo con una condanna al carcere: gli vennero confiscati anche alcuni lingotti d’oro trovati nella sua villa ad Arezzo. Ebbene, i giudici diffamati vennero risarciti proprio con quell’oro, solo che loro, con grande sensibilità, decisero di consegnarlo alle vittime delle stragi italiane. L’associazione dei familiari delle vittime della bomba alla stazione di Bologna lanciarono un concorso nelle scuole italiane per realizzare delle spille con quell’oro, in modo da mantenere sempre viva la memoria di quella strage. Alcune di quelle spille furono consegnate anche nelle mani delle locas, le pazze, come venivano chiamate le Madri di Plaza de Mayo. Un piccolo ma indicativo gesto di riparazione, a favore di chi aveva dovuto sopportare le peggiori sofferenze della dittatura che il venerabile Gelli aveva sostenuto, attraverso una rete di oscuri contatti tra la giunta militare e il mondo politico ed economico italiano, fino ad arrivare alle gerarchie ecclesiastiche.