calvino«Se il tempo deve finire, lo si può descrivere, istante per istante, – pensa Palomar – e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede più la fine». Decide che si metterà a descrivere ogni istante della sua vita e finché non li avrà descritti tutti non penserà più di essere morto. In quel momento muore. Italo Calvino

Sono le ultime righe di “Palomar”. Di quanti istanti descritti ci avrebbe fatto dono negli ultimi trent’anni se un blasfemo destino incrociato, in quella notte tra il 18 e il 19 settembre del 1985, non avesse deciso di far volare un “Barone Rampante” sui tetti di Siena. Per un ultimo sguardo dall’alto di una tra “Le città invisibili” e su un mondo che leggeva e riscriveva da terra. Sospeso, come nelle sue pagine, tra fantasia e realtà, tra inferno e paradiso, tra l’una e l’altra metà de “Il Visconte dimezzato”.

Ogni anno, in questa notte che saluta l’estate e il tempo ci sbeffeggia dell’effimera e tutta umana consuetudine di date, ricorrenze e commemorazioni, Calvino forse rivolerà sui tetti di Siena alzandosi dal Santa Maria della Scala per ricordarci dei tanti istanti che non ha descritto ma che intendeva insegnarci a catturare. Anche solo per non essere risucchiati dalla banalità dell’inferno aldiqua.

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme – scriveva Calvino chiudendo “Le città invisibili” -. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Domani, lui sarà volato nuovamente lasciandoci qui a riflettere sulla notte, sul tempo e sull’estate. E su ogni cosa talmente terrena da cui amiamo sfuggire con “Marcovaldo, ovvero le stagioni in città”. In quell’attesa che si muta in speranza che la banalità quotidiana si trasformi nell’eccezionalità di poterlo incontrare, Calvino, anche sotto le mentite spoglie di un “Cavaliere Inesistente”. O “Se una notte d’inverno un viaggiatore”, per un’altra volta, ci prendesse per mano per riniziare tutto da capo lungo “Il sentiero dei nidi di ragno”.

Perdonate la digressione banale legata all’antipatico quanto semplice pensiero a una data, a una notte, ai ricordi, alle parole, ai silenzi, a Calvino…

«Così ho messo tutto a posto. Sulla pagina, almeno. Dentro di me tutto resta come prima». (Il castello dei destini incrociati)