Qualche decennio fa chi avesse avuto dei sogni poteva benissimo affidarli a idee, utopie, paradossi, visioni. C’erano personaggi che – al pari di un operatore finanziario; anzi, meglio di lui; anzi… contro di lui – quei sogni sapeva far fruttare con tassi di interesse da favola. Tra questi broker dell’onirico fu grande Corto Maltese e, ovviamente, il suo ideatore Hugo Pratt, che, in definitiva, sono unica cosa. Al punto che lo stesso Pratt insinuò il dubbio di essere stato generato dal Maltese. E chissà se Corto-Hugo si rese subito conto di ciò che sarebbe diventato: un personaggio di culto della più raffinata graphic novel europea. Un mito letterario del Novecento, suffragato da pareri giocosamente solenni del tipo: “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese” (Umberto Eco). Certo è che quel navigatore romantico – figlio della gitana Nina di Gibraltar e di un ignoto marinaio inglese della Cornovaglia, cresciuto alla scuola del rabbino Ezra (l’amante di sua madre) che lo farà edotto di mistica, saggezza, esoterismo – era persona affidabilissima per consegnargli i nostri sogni. Noi che, magari già condannati alla sedentarietà, al comfort e ai viaggi organizzati, eravamo comunque marinai di intenzione. A guadagnarci, se non altro, il buon vento che fa solcare curiosità, conoscenze, i tanti mondi dell’universo mondo (“Come la bianca ala dell’albatros sul monotono respiro del Pacifico, così, vagabonda per vagare, va la vela del vero marinaio”). Corto Maltese capitò proprio al momento giusto. Erano gli anni in cui tutti passavamo a riscuotere le vincite frutto delle scommesse fatte su benessere e libertà. Una bella cuccagna. E un grande equivoco, come sarebbe stato dimostrato in seguito. Non ci cascò, però, il Maltese, provando a coinvolgere anche noi nel suo scontroso diniego: “Forse sono il re degli imbecilli, l’ultimo rappresentante di una dinastia completamente estinta che credeva nella generosità!… Nell’eroismo…”. Lui alzò le vele e una ciurma di sognatori lo seguì. Per far cosa? Verificare quanto di Ulisse (e del suo fascino per l’ignoto) fremesse dentro noi; confermarci che Utopia (benedetto Tommaso Moro!) è pur sempre una seconda possibilità offerta alle nostre esistenze; tentare (sia lode a Proust e alla sua Recherche!) di ritrovare il tempo perduto e, soprattutto, un suo possibile senso. Avvertiva Pratt che “quell’orizzonte aperto sarebbe stato sempre lì, un invito ad andare”. Nel nostro tempo ossimorico di globalità e di orizzonti angusti, l’invito è sempre valido. La barca sta per mollare le cime.