C’era un gruppetto di senesi, capeggiato da Luca Quercioli, nel Project S.N.A.K.E. – acronimo per Surviving a Natural Adventure in a Kenya Experience – l’esperienza estrema dal nome che richiama i serpenti della savana dal morso letale. L’avventura, organizzata dall’associazione “Delta TWO”, è durata 10 giorni una spedizione di 200 km, da percorrere a piedi tra la savana e la giungla, ai piedi, ed attraverso il monte Kasigau: un’impresa che coniuga il survival con l’osservazione della natura. Si tratta di una prova di resistenza psicofisica in un ambiente ostile e pericoloso, dove la morte può avere le sembianze di un mamba nero o di uno scorpione, dove si marcia disposti su due file che guardano le spalle e i fianchi del gruppo,per prevenire eventuali attacchi dei grandi predatori.
Avventura per temerari È un’esperienza per pochi temerari esperti di tecniche di survival – i senesi, oltre a Luca Quercioli, sono Federico Forzoni, Filippo Cecconi, Marco Naldini – capace di regalare paesaggi mozzafiato e l’incontro, non sempre amichevole, con i grandi mammiferi africani. Fra leoni, elefanti, bufali, gazzelle, antilopi, zebre, l’uomo cessa di percepire se stesso come il centro della creazione per sentirsi, più realisticamente, parte della catena alimentare e del ciclo della vita. Se di giorno camminare sotto il sole cocente, con acqua e cibo razionati, mette il fisico a dura prova, di notte si impara a costruire il boma: un recinto di piante spinose per difendersi da eventuali aggressioni e tenere lontani gli occhi di brace e le ombre che vagano nella notte in cerca di cibo. Il buio, nella savana, è come una coperta pesante, con le voci, le strida e i ruggiti che popolano la notte e risvegliano timori ancestrali. L’intera spedizione, che aveva come partner le ditte specializzate nella produzione di oggetti e indumenti tecnici necessari al survival è stata monitorata via satellite 24 ore su 24: un fotografo professionista anch’egli appassionato di sopravvivenza, ha partecipato allo S.N.A.K.E. documentando l’avventura con immagini che saranno trasmesse da un’emittente televisiva e lanciate sui social. Le condizioni psicofisiche e sanitarie di tutti i sedici componenti del gruppo venivano monitorate quotidianamente.
Che cos’è il survival e cosa spinge una persona a lasciare temporaneamente le comodità e gli affetti per ricercare condizioni di vita così difficili? Agenziaimpress.it lo ha chiesto a Luca Quercioli.
«Il survival è consapevolezza piena delle proprie risorse mentali e fisiche, che si sperimenta e si agisce quotidianamente. Non si tratta di una pratica del fine settimana o uno svago. Non è un divertimento stravagante, ma uno stile di vita. Chi decide di affrontare queste esperienze non si improvvisa: si richiedono una lunga esperienza, un allenamento costante, la piena coscienza di quello che si va a fare. L’obiettivo è quello di essere perfettamente consapevoli delle nostre potenzialità e dei nostri limiti per cercare di spostarli in avanti, senza azzardi o colpi di testa, con una determinazione meticolosa fatta di costanza e motivazione forte».
Alla ricerca dell’essenziale È con se stessi la vera sfida di questo particolare modo di essere che porta a rischiare per vincere sui propri limiti. A chi guarda da fuori resta il gusto, ormai insolito, di avvincenti racconti di viaggio al ritorno e la sensazione che queste esperienze abbiano segnato nel profondo chi le ha vissute: non labili orme sulla terra rossa del Kenia – terra da toccare e mettersi addosso per chiederle il permesso di calpestarla, per chiederle di essere accolti e di vivere – ma tacche scavate nell’anima, nel profondo limbico di memorie ancestrali. C’è qualcosa di inafferrabile nelle parole e negli sguardi di chi officia il rito di queste avventure: forse una nostalgia delle origini, della matrice della nostra civiltà; una ricerca dell’essere, per un periodo, homo sapiens immerso in un ambiente naturale con i suoi tempi e i suoi ritmi, ma insieme senza tempo. Una ricerca dell’essenziale, di una condizione primitiva dell’esistenza dove contano saperi, capacità e risorse lontanissimi dalla nostra quotidianità. Un viaggio, forse, anche dentro se stessi, per riconnettersi alle radici della specie umana e a un inconscio fatto di primordiali paure, sperimentando il coraggio e l’affermazione di sé.