Si è fatto un gran parlare dei contenuti dell’ormai mitologico Patto del Nazareno. La segretezza e il richiamo biblico gli conferiscono infatti un’aura più da antico mistero che non da modernismo velocista renziano (lo avrebbero altrimenti chiamato Nazareno’s Pact). Chi dice che ne esista una copia cartacea, chi assicura che si tratti di semplice trasmissione orale della tradizione. La leggenda narra di rotoli di papiro dove Renzi e il Cavaliere avrebbero fissato imperiture le condizioni dell’accordo.
Ma, come insegnano gli archeologi, per arrivare alla soluzione si parte dallo studio delle stratificazioni. E prima dunque di scavare dentro i palazzi romani e in Parlamento, può essere utile scendere uno strato più in basso, in Toscana, in Consiglio Regionale.
E si scopre così che l’accordo tra Partito Democratico e Forza Italia, che in Toscana ha condotto all’approvazione della nuova legge elettorale, qualcosa a che vedere con il “Patto” deve averlo avuto per forza. Passando dall’archeologico al poliziesco potremmo infatti dire che sulla scena del Toscanellum gli indizi rinvenuti lasciano spazio a pochi dubbi. Ma andiamo per ordine.
“Abbiamo ottenuto più di quanto concesso”, ha detto il Segretario Regionale Parrini subito dopo l’approvazione. Sta di fatto che il centrosinistra in Consiglio Regionale abbia un sua maggioranza con la quale governa da quasi cinque anni. Uno si chiede allora da dove derivi l’obbligo di “concedere” visto che una legge elettorale il centrosinistra sarebbe stato in grado di approvarsela da solo. Domanda, lo ammetto, un po’ affrettata, che serve su un piatto d’argento la risposta: “perché le riforme istituzionali si fanno anche con le minoranze”. “Giusto!”… pensi. Poi però ti soffermi sul fatto che al momento del voto nove consiglieri del PD si siano assentati dall’aula in segno di dissenso, e che un pezzo del partito abbia battagliato negli organismi contro la legge. E ti chiedi se sia normale che alla fine dei salmi la riforma elettorale si faccia con la minoranza lasciando indietro un pezzo del partito di maggioranza e della coalizione. Come se la responsabilità istituzionale di cercare un accordo valesse per i consiglieri di Forza Italia e non per i consiglieri del partito di maggioranza. E metti lì il primo indizio.
Poi ti avventuri nei meandri della legge e ti imbatti nel cosiddetto “listino bloccato”, cioè la possibilità per ogni partito di indicare tre candidati da sottrarre alle preferenze: candidati che arrivano in Consiglio senza essere stati votati dagli elettori, ma solo scelti dai partiti. Un “listino” che il PD prima inserisce nella legge e poi ne dà un giudizio cosi negativo che non solo dichiara a priori di non volerne usufruire, ma si spinge addirittura a lanciare agli altri partiti una “sfida” in punta di virtuosità sulla rinuncia ad usarlo. O uno sdoppiamento di personalità politica, o più che una legge elettorale una prova di resistenza alle tentazioni. E anche qui qualcosa non ti torna e metti lì il secondo indizio.
Prosegui, e arrivi alle soglie di sbarramento, e ti accorgi che sono premianti per i piccoli partiti che accettano di stare in coalizione piuttosto che andare da soli: asticella al 3% per chi si coalizza, al 5% per chi non lo fa. E senti dire che l’incentivo a coalizzarsi servirebbe ad evitare la frammentazione in Consiglio. Sì, ma ad evitare, forse, la frammentazione della minoranza, mica quella della maggioranza! Chi vince infatti ottiene, grazie al premio di maggioranza, il 60 o il 57,7 per cento dei seggi secondo se raggiunga il 40 o il 45 per cento dei voti, e dunque l’omogeneità della maggioranza è già garantita dal premio. Paradossalmente per la maggioranza avere con sé piccoli partiti, invogliati dall’incentivo, ne aumenta la frammentazione semmai. Discorso opposto per chi perde, ipotizziamo, chennesò, Forza Italia, che ha tutto l’interesse a far sì che i partiti minori del centrodestra non vadano da soli, bensì si presentino sotto “mamma chioccia” Cavaliere. D’altronde se scegliessero di non stare con FI, anche unendosi, poi troverbbero l’altro sbarramento al 10% per le coalizioni. Un mestiere impossibile diventa con il Toscanellum, quello delle minoranze di centrodestra senza la nave madre di Berlucosni! Ma non solo: cinicamente parlando, al di là di ogni considerazione programmatica e di prospettiva politica che magari invece suggerirebbero tutt’altro ragionamento, al PD – molto presumibilmente vincente in Toscana – avere piccoli partiti della sinistra fuori coalizione che “mangino” seggi al centrodestra in linea tecnica non avrebbe fatto altro che comodo. E siccome non ce la vedi la maggioranza renziana a preoccuparsi programmaticamente e in prospettiva delle alleanze a sinistra, frulli tutto insieme, e metti lì il terzo indizio.
Poi scopri che tra le cose che si sarebbero “ottenute”, cioè quelle che converrebbero al PD, c’è anche il doppio turno nel caso in cui nessuno dei candidati raggiunga il 40% dei consensi. Per carità, elemento democraticamente ineccepibile. Ma rispetto alla “convenienza” ottenuta dal Pd non sai dove inquadrarla… Enrico Rossi nel 2010 fu eletto con il 59,73% dei consensi, il PD da solo ne prese il 42,20%. Stavolta abbiamo per caso timore di arrivare secondi? E anche qui metti lì il quarto indizio.
Infine, si sa, vanno bene gli indizi ma quando poi arrivano i testimoni oculari tutto diventa più semplice, e nel momento in cui, nella Direzione Regionale PD, senti autorevolmente affermare che se questa legge elettorale servirà al centrodestra per riorganizzarsi sarà un bene perché il centrosinistra con un avversario forte sarà spronato a fare meglio, capisci che non serve uno Sherlock Holmes per risolvere il caso, ma basta un commissario Lo Gatto qualunque.
Unendo i puntini si delinea, un tratto alla volta, come sia evidente che la legge elettorale rappresenti per Renzi la madre di tutte le riforme, che per fare una legge in Parlamento servano i voti di Forza Italia, che i voti si conquistino a più livelli, e che dunque al Toscanellum almeno un rotolino tra i papiri del Patto del Nazareno devono averlo proprio riservato.
Post scriptum anti settarismo: il problema non è aver fatto la legge con Forza Italia; il problema è come è fatta la legge, per averla voluta fare a tutti i costi con Forza Italia.