Latouche3Serge Latouche, filosofo e economista francese, ha incontrato all’università di Arezzo centinaia di studenti per parlare della teoria che lo ha reso noto in tutto il mondo: la decrescita felice. L’incontro è stato inserito nel progetto Aritmie del Comune di Arezzo. Latouche, che oggi sarà anche in Comune a Volterra, è tra i più convinti avversari dell’occidentalizzazione del pianeta e fervente sostenitore del localismo. Nemico del consumismo e della razionalità strumentale, è animatore della Revue du MAUSS, presidente dell’associazione «La ligne d’horizon», professore emerito di Scienze economiche all’Università di Parigi XI e all’Institut d’études du developpement économique et social (IEDES) di Parigi.

Stiamo aspettando Godot «Viviamo nella società della crescita illusoria – ha spiegato Latouche -. La crescita economica a cui le società occidentali erroneamente aspirano, e su cui sono tutte modellate, non arriverà mai. La prospettiva della crescita è irrealizzabile e non desiderabile. La finta crescita a cui miriamo ha prodotto una massa di individui frustrati, insoddisfatti e isolati. Siamo mossi da un mero spirito acquisitivo: tramite la pubblicità assorbiamo nuovi falsi bisogni e senso di inadeguatezza, così ci riversiamo in massa a comprare oggetti-feticcio di cui crediamo di avere bisogno, ma che in realtà né ci servono né ci fanno felici. Tentiamo di colmare le nostre mancanze affettive, relazionali e di autostima acquistando di tutto, divenendo così dei perfetti esemplari di homo aeconomicus”.

Uscire da questa società per progettarne una nuova  Per lo studioso, la soluzione a tutti i mali della modernità risiede nell’attuazione della decrescita felice, contenitore di molteplici matrici del cambiamento: «Per uscire da questo incubo consumistico e inventare una società di prosperità senza crescita, abbiamo bisogno della decrescita felice. Questa parola, un slogan provocatorio, non va intesa come l’opposto della crescita, ma è l’emblema del ripensamento dell’intero sistema economico e sociale. Con la decrescita l’economia non sarà più intesa come un organismo dalle potenzialità di sviluppo illimitato, infinito e fine a se stesso, ma come un organismo dalle potenzialità limitate, come sono limitate le risorse del nostro pianeta e il nostro tempo. L’obiettivo è riscoprire la vera felicità e abbandonare la finta abbondanza».

La società dei consumi ha tradito la propria promessa di felicità «L’economia come valore – ha proseguitoLatouche2_pubblico Latouche – è venuta a sostituirsi eticamente alla società, ha tradito la sua promessa di felicità. Non siamo più felici di un tempo e viviamo in un sistema insostenibile: è lo stesso pianeta che ci dà chiari segnali di un’inesorabile prossima fine delle risorse fino al collasso».

Siamo tossicodipendenti dalla società dei consumi Un atto di accusa forte contro l’epoca consumistica, quello di Latouche: «Come dei veri drogati, siamo consapevoli del male che questo tipo di consumo ci fa, siamo consapevoli di andare incontro alla morte e, malgrado tutto, preferiamo morire piuttosto che abbandonare la nostra droga e iniziare un percorso di cura. La decrescita è la cura. Non posso garantire che la decrescita porti alla felicità, ma sicuramente alla serenità e a un certo benessere sì».

La strada verso il collasso Per Latouche, «dobbiamo uscire dalla fede religiosa del crescere per crescere e vedere il Pil come indice-incarnazione della crescita stessa. Una crescita che non è sostenibile e neanche auspicabile, come dimostra anche l’indice dell’impronta ecologica. Il 20 per cento della popolazione mondiale consuma oltre l’80 per cento delle risorse. L’Ipcc, la conferenza intergovernativa sui cambiamenti climatici, ha stimato che se continuiamo su questa strada, tra il 2030 e il 2050 saremo al collasso. Crescere per crescere e non per soddisfare i bisogni non ci porterà alla felicità. È necessario andare oltre per costruire una società alternativa, più serena, dove abbiano maggiore importanza le relazioni sociali, la cultura, il tempo libero, e per ridurre il saccheggio delle risorse naturali della biosfera. Questa è la società della decrescita felice, di prosperità senza crescita, una società che io definisco dell’abbondanza frugale».

Latouche1Un’utopia concreta vicina ai precetti del buddhismo zen Come fare per reagire a questa situazione? «Le soluzioni sono più vicine a noi di quanto pensiamo: riciclare, riutilizzare per evitare gli sprechi, ridistribuire le risorse per sanare le diseguaglianze, rilocalizzare prodotti e mercati (Km zero e slowfood), dare nuovi valori fondanti che sostituiscono quelli obsoleti (come il profitto), dare nuovi spazi e tempi al lavoro, lavorare di meno per guadagnare di più e far lavorare anche gli altri: avere più tempo libero da dedicare ai rapporti umani per sanare l’alienazione degli individui moderni. Penalizzare fortemente le spese pubblicitarie, attuare una moratoria sull’innovazione tecnico-scientifica tenendo ben presente che non tutto è concesso, implementando la scienza ecologica invece della genetica. Ridurre lo spreco di energia ed introdurre delle ecotasse che integrino nei costi di trasporto i danni provocati al pianeta. Attuare un protezionismo sottile. Riappropriarsi della moneta, ormai privatizzata dalle banche. Questa è l’entropia della demercificazione del lavoro e della vita, per una riscoperta della misura e una vita migliore». Latouche ha trattato con dialettica avvincente i temi fondanti del pensiero del quale egli è un rappresentante molto noto: quelli dell’inversione di rotta totale dei consumi (e di certi valori) della nostra società. Praticamente opposti a quei valori incarnati dalla società attuale che, per uscire dalla crisi, non sembra affatto propensa a sposare le teoria della nuova frugalità, anzi cerca la soluzione per una crescita che permetta all’Occidente di tornare ad essere la locomotiva del mondo.