Ma quale è il vero obiettivo di queste riforme costituzionali? Distillando polemiche, battaglie parlamentari, proclami, gestacci, indignazioni, canguri e ghigliottine, cosa rimane al fondo della questione? Se facessimo un sondaggio tra i cittadini probabilmente la risposta sarebbe: la cancellazione del Senato. Ma il Senato non viene cancellato. Ah quanti riferimenti da parte dei nuovi padri costituenti a quella tradizione di sinistra che teorizza da decenni il monocameralismo. Perfino Ingrao hanno scomodato. Quanti petti in fuori a mostrare il coraggio di una riforma epocale nel solco della tradizione di sinistra.
Peccato che nelle riforme di monocameralismo non si parli affatto. Palazzo Madama rimane lì, bello presente.
Allora, cittadini un po’ più preparati forse direbbero: l’abolizione del Senato elettivo. No no, anche quello è tornato, è di nuovo elettivo, pur se in modo contorto. Il motto renziano “mai più un Senato elettivo” e quello bersaniano “o Senato elettivo o morte”, hanno trovato il loro punto di caduta in “un po’ e un po’”, una mano lava l’altra e tutte e due lavano il viso.
Ma allora cosa stiamo facendo? Il disegno di legge Boschi parla pomposamente di Senato delle Autonomie. Oh, dunque ci siamo! Facciamo un Senato che rappresenti le Regioni e i Comuni. Eh no, però non è nemmeno questo, perché i senatori saranno scelti dai cittadini tra i consiglieri regionali, e non dai governi regionali come dovrebbe essere se andassero a rappresentare appunto le Regioni stesse.
Dunque, rappresenteranno i cittadini, al pari dei loro colleghi deputati, non le autonomie. Per quanto riguarda i Comuni, se ci saranno Sindaci questi al limite rappresenteranno le loro Amministrazioni, mica tutti i Comuni. Poi, se ci aggiungi che il Senato non legifererà su nulla, nemmeno su materie di interesse regionali o locale, capirai che “Senato delle Autonomie” è solo un nome di fantasia, un nome d’arte nello spettacolo delle riforme, ed ogni riferimento a fatti che abbiano un significato reale è puramente casuale.
Va bene, allora non sarà un vero Senato delle Autonomie, però è innegabile che sull’obiettivo del taglio dei costi delle istituzioni ci siamo eh.
Mah… se guardiamo ai conti del Senato ci accorgiamo che le indennità dei parlamentari rappresentano appena il 15% dei costi dell’istituzione, e dunque mantenendo in piedi la struttura continueranno ad andare via milioni di euro ogni anno, e il risparmio sarà esiguo. Da una stima al volo sul bilancio consuntivo 2014 del Senato possiamo dire che si passerà da una spesa intorno ai 520 milioni di euro all’anno, ad una di 445 miloni. Senza contare che sarà denaro speso in modo molto più improduttivo, visto il ruolo ridotto.
Ok, però il rimbalzo delle leggi tra di qua e di là, tra Camera e Senato, che tanto male fa al Paese, finirà una volta per sempre. Ha da affondare ‘sta navetta! Sforneremo leggi come pizze a Napoli!
Non è vero nemmeno questo, perché il Senato rimane proprio per riesaminare le leggi della Camera e obbligare la stessa ad un nuovo voto se al Senato quella legge non piace. Uno dei pochi ruoli che esso mantiene è proprio quello di rimbalzare le leggi dall’altra parte. Se non è una navetta, una barchetta lo è tutta.
Ma poi, se la memoria non ci inganna, fino a poco tempo fa eravamo il Paese dalle troppe leggi, malato della cosiddetta ipertrofia legislativa, cioè dell’eccessiva produzione normativa. C’erano celti-padani che le bruciavano in piazza tra il giubilo generale per quante erano ‘ste leggi. Ora il problema è diventato farne ancora di più e più velocemente? Ma allora, detto questo, dove vogliono andare a parare i novelli riformatori?
Ma dai, è chiaro, basta guardare con attenzione e avere l’occhio allenato: si tratta di un ennesimo gioco di prestigio, di quelli in cui il mago ti fa vedere la mano sinistra, attira l’attenzione su quella, ma poi in realtà è la destra a fare tutto e a fregarti.
La madre di tutte le riforme, lo zenit e il nadir della nuova politica italiana, è infatti la nuova legge elettorale, l’Italicum, il resto è corollario. La riforma del Senato è la mano che guardi, l’Italicum quella che fa il gioco.
È attraverso la nuova legge elettorale che si scardina il precedente sistema istituzionale, che ci si incunea nei meccanismi decisionali e rappresentativi del sistema modificando alla radice tutti gli equilibri precedenti.
L‘Italicum è l’unica legge elettorale al mondo che pretende di attribuire ad un solo partito, qualsiasi sia l’orientamento generale degli elettori, il controllo del Parlamento. Si costringono gli elettori a dare la maggioranza assoluta ad un solo partito, anche se non vogliono farlo.
Poi nelle proiezioni mentali di buona parte dei riformatori quel solo partito sarà il Pd, un partito in cui comanda uno ed uno solo. Qui l’Italicum si tramuta in Renzianellum. Paura eh?
La riforma del Senato è solo una conseguenza della nuova legge elettorale, è pensato in funzione di essa: bisognava togliere al Senato il potere di dare la fiducia al Governo e di legiferare, perché solo così il Renzianellum poteva esprimere al meglio le sue caratteristiche. Tutto in un sol colpo, senza rivincite, e senza una seconda Camera, magari con un diverso corpo elettorale, a rovinare potenzialmente i piani.
Il Senato andava insomma disarmato. Solo così si poteva avere il “colpo secco” dei 340 parlamentari della Camera che danno la fiducia al Governo e che successivamente ratificano le sue volontà. Già, ratificano, perché con il Renzianellum i destini dei parlamentari dipenderanno non dai cittadini, ma dai partiti, e ad essi i parlamentari finiranno per rispondere. Poi, nelle proiezioni mentali della maggioranza dei riformatori, risponderanno soprattutto a quel partito, il Pd, in cui di nuovo comanda uno ed uno solo, che poi è la stessa persona che fa il Presidente del Consiglio.
Il resto è tutto trattabile, secondario, relativo. Roba su cui si può fare finta di litigare. Sul resto un accordo si trova, ed infatti è stato trovato. Un Senato vale l’altro, basta sia disarmato e con le mani dietro la schiena.
Quando Renzi ha detto che aspettava le riforme da 70 anni, tutti ci siamo cimentati nello sbeffeggiarlo, me compreso, perché 70 anni significava 1945, ovvero tre anni prima che la Costituzione entrasse in vigore. Affermare che il Paese aspettava la riforma di qualcosa che ancora non c’era appariva ridicolo.
Ma lui ha continuato a dirlo, con occhio vispo: 70, 70, 70… con fare ipnotico. La verità si nasconde tra le pieghe della realtà, come un messaggio subliminale, come un codice cifrato: la nuova legge elettorale entrerà in vigore nel 2016, esattamente 70 anni dopo l’approvazione della prima legge elettorale dell’Italia postbellica, il decreto luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, utilizzata per eleggere l’Assemblea Costituente.
Basta, basta così, a me ‘sto film ha messo un’agitazione addosso… Sarà forse colpa della colonna sonora su musiche originali di Denis Verdini?