tesseramento-PD_2014Come un fulmine a ciel sereno, come uno scherzo del destino, arriva la notizia che i tesserati del PD sono in calo vertiginoso. Un evento improvviso e inaspettato, come un cambio di stagione. I partiti del XX secolo sono stati in Italia cancellati a colpi di avvisi di garanzia, quando non sono caduti sotto la scure della Storia, o più banalmente finiti sotto un muro.

Per uscire da questo cataclisma a sinistra abbiamo deciso sette anni di fare un nuovo partito (anzi ci siamo sempre detti un “partito nuovo”)  facendo ammenda del fatto che eravamo già in ritardo di molti anni. Per recuperare al ritardo abbiamo agito quasi in eccesso di modernità e innovazione, in primo luogo chiamando la nuova creatura Partito Democratico, e riferendoci così all’unico luogo al mondo (non sarà sicuramente così ma quasi, e dunque la sostanza non cambia) in cui un partito prenda questo nome, ovvero gli Stati Uniti d’America. Immaginarsi un riferimento anche ideale e di modello mi pare una logica conclusione.

In secondo luogo affermando che il Segretario nazionale, e tutte le cariche monocratiche di livello inferiore, sarebbero state elette direttamente dal corpo elettorale e non dagli organismi,  creando dunque un legame senza mediazioni tra gli elettori e i leaders. Siamo andati anche oltre, e abbiamo stabilito che alla vita del partito partecipino, soprattutto per le decisioni fondamentali come la scelta dei parlamentari o del Segretario nazionale, tanto i tesserati che i non iscritti, a pressoché parità di diritti e condizioni.

Abbiamo, infine, concluso che il Segretario nazionale dovesse avere l’esclusività di diventare Presidente del Consiglio, in un’impostazione dunque marcatamente verticale della “linea di comando”. Insomma, una soluzione di continuità, un vulnus netto verso tutto ciò che era stato fino ad allora in nome di un coraggioso passo in avanti verso nuovo orizzonti.

Ecco, dopo tutta questa roba ci accorgiamo adesso che le modalità di partecipazione politica tipiche del vecchio partito non esistono più? E ce ne accorgiamo, con sorprendente sgomento, contando le tessere e trovandone poche? Beh, direi… ma anche mah, e un pochino bah!

Il vecchio modo di stare nel partito è finito, i vecchi partiti sono morti, non ci sono e non torneranno più.  Su questo non ci piove. Arrivo per milionesimo a dirlo in queste ultime ore, però io vorrei  almeno tentare di uscire fuori dalla “tombalità” dell’asserzione. E’ pur vero che in provincia di Siena il PD ha disegnato una tessera con su sopra dei significativi “cipressini”, ma la constatazione sulla fine di un mondo non può essere un necrologio, deve diventare semmai un fiocco sulla porta di una nuova nascita.

Se “partito nuovo” deve essere un po’ di roba vecchia dalla finestra come a Capodanno bisognerà pur gettarla no? E accettare che entri aria nuova, non solo persone nuove, ma soprattutto prassi e strumenti. Invece, tutta una categoria di custodi della dottrina sembra schierata davanti ai Circoli, che nel frattempo rimangono vuoti, il che fa dello schieramento un picchetto a difesa di un partito che non c’è più.

E mentre il Segretario nazionale lancia tweet come Giove le folgori, e con quelli cresce nei consensi, i “custodi”  proteggono dalla corruzione dei  costumi una scatola vuota. Varie le anime dei custodi.

I luddisti 2.0: invece che prendere a mazzate le macchine come al tempo della Rivoluzione Industriale, se la prendono con i Social network: “la politica fatta su Fb è uno schifo!”.  Già, peccato che spesso sia l’unico luogo di dibattito e che, in mezzo a mille cialtronerie, si leggano anche interventi di livello non certo inferiore a molti di quelli che si sono ascoltati nelle stanze dei partiti. Dibattiti spesso  molto più partecipati, e soprattutto “orizzontali”,  in cui si parla senza timori reverenziali verso i maggiorenti di turno. Per la cronaca i luddisti, in apparente contraddizione, non si staccano mai da Fb, non sfugge loro un post: dicono di farlo per presidiare il territorio nemico.

Gli oftalmici: sottocategoria dei luddisti 2.0, sono quelli che “nel partito bisogna parlarsi negli occhi non stando dietro ad un video”. Ci sarebbe da obiettare che nei partiti che furono, e nelle occasioni che oggi rimangono, di persona ci si parlava e ci si parla negli orecchi, alla spalle, ma negli occhi piuttosto raramente.

Gli unanimisti: quelli che “tutto ma non le correnti!”. Consorterie, gruppi personali, clan, riunioni segrete, tutto… ma non qualcosa che possa ricordare un’area politica interna organizzata e palese, quella no. L’importante è apparire uniti come un sol uomo quando c’è da alzare la mano per avallare decisioni assunte da altri nei luoghi riservati di cui sopra; decisioni comunicate ai votandi con la stessa velocità con cui si leggono le avvertenze nelle pubblicità televisive dei medicinali, per poi brindare alla grande famiglia unita e coesa. E siccome ultimamente non accade più molto spesso, gli unanimisti si battono il petto profetizzando la fine dei tempi.

I sacerdoti del vacuo: alleati degli unanimisti e strenui difensori e garanti della vacuità dei dibattiti negli organismi, brandiscono infallibili ad ogni occasione l’immancabile arma dell’odg: “analisi della situazione politica nazionale, regionale, provinciale, comunale”. Di affrontare un tema più specifico se ne parla raramente e con circospezione. Come ai tempi della scuola meglio un argomento a piacere, che una domanda trabocchetto. Infatti, cosa c’è di più rischioso che occuparsi di temi attinenti alla vita quotidiana delle persone, o comunque di questioni specifiche e circoscritte che richiedono studio, competenze e soprattutto prese di posizioni puntuali? Il loro motto recita: “a parlare del nulla rischi nulla”.

E se, invece, proprio la Rete, le aree politiche interne organizzate e strutturate e le campagne tematiche fossero gli strumenti per ritrovare un partito dopo l’attuale fase del “non partito”? E magari per dare un ruolo diverso, ma vero, anche ai Circoli?

La Rete, che non è solo Social network ma molto di più, garantisce orizzontalità, velocità nella trasmissione delle informazioni, un’amplissima platea di fruitori, la costruzione di un collegamento tra i Circoli o tra gruppi  di lavoro. E soprattutto entra nelle case, quasi come la televisione ormai, e consente di parlare anche a chi non avresti mai avuto modo di parlare.

Le aree politiche, che non mettono in discussione l’unità del partito allo stesso modo in cui i partiti non mettono in discussione l’unità della Nazione (quando accade sono degenerazioni), garantiscono elaborazione politica, approfondimento dei temi, apertura verso la società, un senso di appartenenza puntuale che si può integrare e può arricchire quello generale al partito e, attraverso l’organizzazione del consenso, anche la contendibilità della leadership.  Non si può infatti fare un “partito del leader”  e poi non consentire anche l’organizzazione strutturata di posizioni alternative a quella uscita dominante dal congresso, pena rendere assoluta e autocratica la leadership stessa.

E le campagne tematiche sono un modo per attivare la partecipazione di tutto un universo diffuso di intelligenze, di tutte quelle  persone spesso con un buon livello culturale, preparatissime su temi specifichi, e impegnate nel dibattito pubblico su singole questioni, ma che non ci pensano lontanamente a  vivere la loro esperienza politica in forma universale inseriti dentro un partito. A prendere una tessera, insomma.

Oppure possiamo rimpiangere i tempi andati, farsi un piantarello in quattro gatti al Circolo, aspettare che passi di lì gente come fossimo venditori di anticaglie vintage nei mercatini dell’usato e ricordare di come si stava meglio quando si stava peggio. E cullarci nell’idea che in provincia, magari in una provincia di lunga tradizione “rossa” come la nostra, le vecchie abitudini, i vecchi metodi, possano aver resistito al tempo e alle intemperie e tornare come se nulla fosse successo. Tanto poi il consenso e le decisioni transitano per altre vie, e noi possiamo rilassarci mentre sul ponte, al posto della bandiera rossa, sventola camicia bianca.