bandiere-pd_32846.jpgCi stupiamo sovente, sopratutto noi ostinati nell’interrogarci sul perché di certe dinamiche interne al Pd, che i dirigenti locali del partito, anche di fronte a sconfitte cocenti in elezioni amministrative nei loro territori di riferimento, non vengano chiamati a risponderne. Nei tempi che furono se un segretario regionale o provinciale perdeva una quantità di comuni pari a quella persa nelle ultime elezioni amministrative in molte parti d’Italia, o anche una quantità di voti così cospicua come quella lasciata per strada in alcune recenti elezioni regionali, si sentiva in dovere di dimettersi già all’apparire delle prime percentuali, ai primi metri della maratona televisiva di Mentana.

Oggi invece, se segretario in linea con la maggioranza nazionale, di solito rimane lì a dare la colpa ad altri della sconfitta, se proprio non può negarla, e a chiedere la rivincita per la prossima occasione. Magari una rivincita che con le elezioni locali non c’entra in apparenza nulla, tipo promettere di rifarsi al referendum costituzionale.

Per non parlare poi di commissari politici che dopo aver consegnato, con tanto di sigillo notarile, la propria città (santa) agli avversari politici, rimangono lì a pontificare.

schede-referendum1.jpgMa il “partito della nazione” è anche questo: nel senso che nazionale è la sua logica politica e in prospettiva, se passerà la riforma costituzionale, anche quella istituzionale: la partita vera non si gioca più sui territori, in periferia, ma tutta al centro. Non è più così necessario governare i territori, perché è sufficiente controllarli, e per farlo è fondamentale vincere le elezioni politiche. Tutta la riforma costituzionale, nonché i processi di riassetto delle autonomie locali promossi dal Pd, vanno in questa direzione: si cancellano le province, si toglie potere alle regioni, le quali a loro volta ne sottraggono ai comuni attraverso il ridimensionamento di competenze delle unioni, si cancellano comuni fondendoli tra loro dopo averli nel frattempo messi alla fame e magari poi si diminuiscono anche le regioni di numero facendone di macro. Un enorme trasferimento di potere dalla periferia verso il centro del sistema, una transumanza verso Roma dei carri e dei buoi dei tanti “paesi” nostri che costellano l’Italia, verso il corpaccione centrale del potere governativo che si mangia le autonomie locali e le riforme federaliste.

I territori vengono svuotati di potere e dunque di rilevanza politica.

primarie-pd-586x319Con una legge elettorale poi che, consegnando al vincitore il controllo dell’intero sistema, gira intorno ad una partita che si risolve tutta al centro, in un ballottaggio nazionale giocato nel campo di una sorta di unico collegione italico. E allora in un contesto del genere un partito non ha bisogno di dirigenti sul pezzo che portino a casa risultati in loco, che vincano elezioni amministrative, che aumentino il numero degli iscritti, che facciano funzionare i circoli e gli organismi territoriali. Ha bisogno di dirigenti che tengano fedelmente la linea della maggioranza, che facciano da anello alla catena di comando che dall’alto arriva al basso, che portino acqua alla causa nazionale, organizzino mobilitazioni politiche sui temi presenti nell’agenda parlamentare e governativa, garantiscano i rapporti di forza dentro il partito e soffochino eventuali venti di ribellione ai confini dell’impero.

Al limite, a livello regionale, dirigenti che garantiscano il controllo delle candidature nei collegi al momento del voto per il Parlamento. Non è utile sostituirli nemmeno di fronte a batoste elettorali o a circoli che scompaiono, perché il loro ruolo è altro. Questo ovviamente non significa che tutti i dirigenti locali del Pd, in tutta Italia siano e facciano questo, ci mancherebbe. L’Italia è grande, il Pd numeroso e c’è chi non si adegua. Ma questo è il modello dominante, perché è il modello coerente con un partito che sia nella sua organizzazione che nel suo progetto politico ha sposato una dimensione centralista. Addio assetto federale del partito e addio autonomie locali come palestra (direbbe Barca) di democrazia.

fascia-sindaco_10.jpgIl partito a livello locale diventa uno strumento di mobilitazione e di incanalamento delle energie per la causa nazionale. Mobilitazione che spesso arriva a coinvolgere anche le istituzioni, con gli amministratori locali reclutati per farsi carico delle battaglie politiche del centro del sistema, in una commistione tra ruolo istituzionale e partitico, e anche in un potenziale conflitto di interesse tra la rappresentanza di istanze politiche locali e centrali.

Siccome poi il Pd è anche il partito del leader, la causa nazionale si identifica col Segretario Nazionale, e la mobilitazione dei territori diventa spesso mobilitazione per il leader. Che poi magari può accadere che il leader sia anche Presidente del Consiglio, e ciò trasforma il tutto in una sorta di poderoso movimento centripedo di partito e istituzioni verso il governo. Cosìcché, un po’ come nella leggenda del Gran Caffè Sassovivo di Foligno, al centro del quale c’era una sala, con in mezzo un biliardo e al centro del biliardo quel birillo rosso che finiva per stare proprio al centro del mondo, anche la partita politica nell’Italia del nuovo verso si giocherà facendo rotolare tutte le biglie verso un solo punto.

Abbattendo ed erigendo ogni volta un nuovo birillo (magari più bianco che rosso), posto esattamente a “lu centru de lu munnu”.

 

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