Del Museo del Palio di Siena si è cominciato a parlare tanti anni fa, se ne parla anche adesso e se ne parlerà in futuro. Ma non credo che si riuscirà a realizzarlo. Ma questa volta non è colpa della politica, o cattiva volontà di qualcuno. Il punto è che il Museo del Palio di Siena si trova di fronte un ostacolo vero, serio e molto ingombrante.
Il museo come lo vorrebbero i senesi sarebbe fatalmente poco attraente per coloro che vengono da fuori e che ne dovrebbero essere i visitatori, perché didascalico, con troppe cose da spiegare, complesso e alla fine macchinoso da “leggere”; mentre un museo come sarebbe interessante per i visitatori non piacerebbe affatto ai senesi, che lo troverebbero troppo riduttivo, superficiale, pericolosamente spettacolare
Il problema, come detto, è serio ed è di carattere generale, perché non esiste solo a Siena la difficoltà di trovare una chiave di lettura che sappia coniugare esigenze così diverse e assolutamente legittime.
Perché hanno ragione i senesi a non voler ridurre il Palio in una “storiella” di un’ora (se non di 50 minuti…) ad uso e consumo – la parola è appropriata – di turisti distratti e che continuerebbero a non aver capito nulla di contrade e cavalli. E, d’altra parte, per la stragrande maggioranza dei turisti/visitatori il Palio è senz’altro interessante, ma alla fine una curiosità per la quale non hanno voglia di farsi spiegare per ore cose a loro comunque poco comprensibili.
A questo si aggiunga che ognuno ha poi la sua opinione su come dovrebbe essere il Museo del Palio di Siena, e per molti anche il nome Museo è inesatto e fuorviante, perché dovrebbe essere tutta un’altra cosa.
Io, ad esempio, lo vedrei appunto non come un museo, ma come un “luogo” che assomiglia ad un programma di Piero e Alberto Angela, ad una puntata di Superquark o di Ulisse.
Ovvero: con un preciso percorso di visita, rigoroso nei contenuti, essenziale nel saper selezionare le informazioni di prima conoscenza (poi chi vuole approfondire, avrà tutto il tempo di farlo), divulgativo nel linguaggio e – allo stesso tempo – pieno di cose e di elementi che sappiano rendere emozionante il percorso e rimanere impressi nella mente dei visitatori.
Penso ad una radiocronaca di Silvio Gigli, che sapeva farti vedere la piazza, colori e bandiere soltanto con la sua voce, e a certe interviste ai fantini di Massimo Biliorsi, ai pannelli con foto e testi dei “I trenta assassini” di Marco Delogu e Massimo Reale (Salvatore Ladu detto Cianchino: «Un vecchio fantino mi disse “il pane del palio è duro sette croste”. Adesso ho capito»), certe frasi in bellissimo italiano di Paolo Maccherini e certe immagini “di cronaca” di Augusto Mattioli, qualche estratto della puntata sul Palio de Il testimone di Pif ed una bandieraia che racconta un “mestiere” di fascino infinito.
Voglio essere sincero: solo a scriverne, mi viene già la pelle d’oca…