Il premier Enrico Letta, qualche giorno fa nel momento più aspro dello scontro parlamentare per la sopravvivenza del suo governo, citò il flm “Il giorno della marmotta”, dove il protagonista, Bill Murray, si trova a rivivere le stesse scene ogni giorno. Un po’ come accade a chi segue le vicende del Partito Democratico o perché iscritto, votante, simpatizzante o semplice appassionato delle cose della sinistra italiana.
Puntuale, come il cambio di stagione, arriva infatti il momento delle primarie e dei congressi democratici, con la corsa di mille protagonisti a occupare la casella che ritengono la più fortunata. Quella che, sperano, sarà la vincente. Mentre cellulari e poste elettroniche sono inondati di messaggi dei candidati o appelli al voto e alla mobilitazione.
Nel 2012 a mobilitare e far dividere i democratici furono Matteo Renzi e Pierluigi Bersani (oltre ai comprimari Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci) ed abbiamo visto com’è andata a finire, con la «non vittoria» del Pd alle elezioni del febbraio scorso. Quest’anno, come se nulla fosse accaduto, nuova liturgia di comitati, programmi e discese in campo. E a duellare per il congresso del prossimo 8 dicembre saranno Matteo Renzi, Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Gianni Pittella.
Con alcune differenze rispetto a 12 mesi fa. Il congresso sembra già scritto per incoronare il sindaco di Firenze prossimo segretario democratico, mentre nel 2012 lo scontro fu duro davvero per scegliere il candidato premier. Ma soprattutto in questo anno di mezzo il Pd ha tagliato di netto le radici su cui era nato, l’unione cioè tra due culture politiche, quella ex democristiana e popolare e la ex comunista e diessina. E alla corsa al Quirinale ha sacrificato due, forse tre, padri nobili: Franco Marini, Romano Prodi e lo stesso Massimo D’Alema. Per veti incrociati e oscure trame di 101 franchi tiratori il “vecchio” è stato definitivamente rottamato, senza possibilità di appello. Ma cosa sia il nuovo nessuno lo sa.
E mentre ci si aspettava qualche mea culpa e assemblee di autoanalisi, si è preferito tirare dritto e ripetere lo stesso schema di gioco, come se nulla fosse accaduto. Dunque, nuove primarie, cercando questa volta di incoronare Renzi, quasi l’ultima ancora di salvezza democratica.
A livello nazionale è stato un continuo posizionarsi, distinguersi, argomentare. Tutti, o quasi, pro Matteo. Perfino gli acerrimi rivali d’un tempo oggi sono suoi fedeli alleati ed estimatori, compreso quel Nichi Vendola che più che leader di un altro partito sembra poco più che un fiancheggiatore. Spaventa questa esondazione di consensi renziani e dovrebbe per primo spaventare chi pensa veramente che quella di Renzi sia l’opzione vincente per il partito e, in futuro, per il Paese. Come un fiume che straripa dal proprio naturale alveo dopo un violento nubifragio, oggi non si conoscono più gli argini del renzismo. Come una grande alluvione tutto è stato coperto dalle acque, comprese le magagne irrisolte del Pd sul piano dei contenuti e della stessa tenuta del partito.
Straordinario è poi quello che accade a Siena in queste ore, dove tutti, ma proprio tutti, sono renziani, compresi gli esponenti dei candidati a lui avversi sul piano nazionale. La autocandidatura di Niccolò Guicciardini, ad esempio, e la sua recente adesione al renzismo avrebbe dovuto far gridare allo scandalo i renziani della prima ora che lottarono non poco fino alla primavera scorsa per avere un loro candidato (Bruno Valentini) alle primarie del Pd per la scelta del sindaco. Invece, nulla. E nulla nemmeno i sostenitori senesi di Cuperlo che sosterranno tutti il principe valdelsano. Mentre sono pervenuti i sostenutori senesi di Civati. A sfidare l’attuale segretario provinciale è sceso in campo solo Riccardo Burresi, attuale presidente del Consiglio provinciale, di provenienza margheritina, che parla di una vera e propria «ammucchiata di apparato a sostegno del Guicciardini», mentre dichiara di avere dalla sua «la gente, quella delusa dal Pd di Siena e che vuole cambiare davvero».
Tutti i protagonisti, poi, sono accomunati dalle stesse parole d’ordine: discontinuità, rottamazione, passione, spirito di servizio. Come Alessandro Mugnaioli, candidato alla segreteria dell’Unione comunale del Pd di Siena, senza nessun legame dichiarato con gli esponenti in corsa per la segreteria nazionale. Una storia antica sempre al fianco di Franco Ceccuzzi. Era lui segretario nel 2010 quando Ceccuzzi senza primarie fu candidato a Sindaco, poi ne divenne assessore plenipotenziario e, infine, presidente del suo comitato elettorale lo scorso anno e candidato sconfitto alle primarie di aprile scorso e, attualmente, di nuovo segretario dell’unione comunale. Anche lui parla della necessità «di un partito forte, inclusivo, unito e davvero rinnovato» e tra le altre, cita proprio le parole di Renzi: «Sul carro del vincitore non si sale, ma si spinge tutti insieme». Sarà, ma qui pare proprio di assistere ad una grande ammucchiata democratica.
Ah, s’io fosse fuoco