Che confusione sotto il sole di Siena. A distanza di qualche giorno dallo storico annuncio della Fondazione Mps di scendere sotto la soglia del 50% nella proprietà della banca, sui giornali è tutto un florilegio di ipotesi, nomi, strategie, dichiarazioni, distinguo, che denota il clima nel quale è piombata la città. Sembra di assistere ad un tutti contro tutti, un redde rationem tra i big della politica e dell’economia locale che per anni hanno gestito il celebrato “Sistema Siena”.
Sindacati contro Colpisce la frenesia dei sindacati interni alla banca che tornano a chiedere, nel giro di poche settimane, le dimissioni dei presidenti Mussari e Mancini. Dopo il silenzio in cui erano piombati per anni, a metà gennaio sono anche scesi in piazza per protestare. Chissà se a a preoccuparli è il rischio dei posti di lavoro, che non dovrebbe esserci all’orizzonte, o piuttosto la perdita di una interlocuzione “benevola” (per usare un eufemismo) di fronte alle prime mosse del nuovo dg Fabrizio Viola (chiusura di sportelli, annuncio di riorganizzazioni robuste) che appaiono improntate ad un decisionismo molto “tecnico” (come va di moda in Italia adesso) e poco condizionabile. Ma Viola pare la medicina che il Sistema Siena deve prendere, e la ricetta, si dice, è stata scritta direttamente da Roma. Anche se non da quel Visco che bloccò anni addietro le mire dell’allora sindaco Pierluigi Piccini sulla Fondazione.
Profumo versus Mussari Intanto, in città impazza il totonomine per lo scranno più alto in Rocca Salimbeni. E aumentano le voci sull’arrivo di Alessandro Profumo; salvo poi altri, apparentemente ben informati, scrivere la ipotesi di una nuova candidatura di Giuseppe Mussari, perché così «piacerebbe al Pd nazionale e a Verdini». Ieri, però, è arrivato lo stop del presidente della Provincia di Siena, Simone Bezzini, che dalle colonne de La Nazione di Siena fa a Mussari i «migliori auguri di buon lavoro e un grande in bocca al lupo per il futuro». Non prima però di aver ricordato che «Mussari ha da tempo manifestato la sua indisponibilità a ricoprire il ruolo di presidente della Banca». Dunque, capitolo chiuso su Mussari, almeno a Siena e aperto forse allo stesso Profumo, almeno a leggere l’identikit che del possibile candidato presidente fa lo stesso Bezzini. «Mi auguro che i criteri di selezione che saranno seguiti dagli organi preposti siano in primo luogo quelli della professionalità e del profilo riconosciuto a livello nazionale e internazionale». Vedremo.
Ceccuzzi contro tutti Intanto, il sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi, venerdì scorso era uscito dal silenzio con un’intervista all’agenzia Reuters, proponendo una inedita interpretazione del concetto di «controllo della banca». «Per il supremo interesse della comunità senese e per il compito che gli ha assegnato la storia, il Comune di Siena ha la responsabilità di concorrere, in misura decisiva, al mantenimento del solido rapporto secolare tra la città e la Banca Mps, affinché la Fondazione possa sempre esercitare il controllo, facendo pieno ricorso a tutte le opportunità offerte dall’ordinamento vigente, al fine di garantire l’indipendenza strategica della Banca», così scriveva il candidato sindaco appena un anno fa nel suo programma elettorale. Adesso all’agenzia di stampa ha invece spiegato che «voler mantenere la Fondazione sopra il 50% del capitale era una concezione non evoluta del concetto di controllo, da parte di tutti, nessuno escluso». E l’agenzia scrive che il sindaco «è convinto che la discesa della Fondazione Mps sotto la soglia del 50% nella Banca Mps rappresenti una opportunità per ridurre il rischio di un patrimonio eccessivamente concentrato sulla banca "per eccesso di lealtà". E anche che il nuovo assetto della Fondazione continuerà a garantire stabilità alla banca senza mettere a rischio il legame con il territorio». Un po’ di differenza tra le due dichiarazioni c’è, e in molti l’hanno notata, così come una velata ammissione di responsabilità. Quel "nessuno si senta escluso" dovrebbe riguardare anche lui. E questo è già qualcosa.
Freddezza versus Mancuso L’ultima stoccata il sindaco di Siena la riserva a Salvatore Mancuso, ex presidente del Banco di Sicilia, che avrebbe dichiarato la disponibilità, con il fondo di private equity Equinox, a rilevare il 12% della Banca in cambio della presidenza o di un ruolo di vice. «Un giorno di gloria non si nega a nessuno. Ma chi fa sul serio non si mostra. E credo che ci siano alternative», ha risposto Ceccuzzi. Salvo poi far notare che «il suo ruolo non è trattare con chi vuole comprare la banca. Per quello, dall'altra parte della piazza del Campo, c'è la Fondazione». Ma, in realtà, se Mancuso è interessato a Siena forse qualcuno lo avrà contattato. Con chi ce l’ha allora il sindaco?
Totonomine: un gioco del passato? Il “totonomine” al Monte da giorni compare sui giornali, come se in questo anno non fosse successo nulla e si potessero continuare a risolvere questioni politiche usando il cda del terzo gruppo bancario italiano. Nel 2009 il board della Banca venne allargato per far entrare Alfredo Monaci, ingresso che fu letto più come una esigenza della politica locale che per reali strategie della compagine sociale. Naturalmente chi ha interesse alla prosecuzione “della politica con altri mezzi” (come direbbe Von Clausewitz) a spese della Banca, preferisce trovare nuovi soci che siano attenti gestori del proprio denaro ma meno interessati alla governance della Spa stessa, piuttosto che soci attenti anche a come viene gestito il proprio investimento. Questa potrebbe essere una chiave di lettura delle favoleggiate divergenze tra i due fronti di Piazza del Campo, anche se, come lo stesso sindaco ha chiarito, il Comune non è certo il soggetto delegato a trattare i possibili acquirenti. Nè, tantomeno, il presidente uscente della Spa di cui sopra. Fortuna vuole che la lealtà istituzionale di Gabriello Mancini sia al di sopra di ogni sospetto, e rimane una virtù non comune. Anche quando qualcuno fa finta di non riconoscerla.
In Mediobanca stat virtus? In tutto questo florilegio rischia di passare sotto silenzio il ruolo, discreto ma quintessenziale, dell’Istituto che fu di Enrico Cuccia. Nel 2007, con Marco Parlangeli alla direzione generale, la Fondazione MPS acquisì una sostanziale quota di Mediobanca, ritenuta “il salotto buono della finanza italiana”, ottenendo anche il diritto ad un posto nel board, posto occupato dallo stesso Parlangeli fino all’anno scorso. E Mediobanca è stata assai presente nelle strategie di Fondazione e Banca, o, si potrebbe dire, nelle strategie di alcuni protagonisti delle due istituzioni: alcune andate a buon fine (l’ascesa di Francesco Caltagirone alla vicepresidenza di Generali), altre finite meno bene (il ruolo di advisor per trovare un nuovo socio dopo la costosa uscita del gruppo Lamaro Toti alla Sansedoni). Negli anni del sindaco Cenni, il Comune si espresse più volte per la dismissione, forse sospettando che il peso reale in piazzetta Cuccia era molto poco. Oggi, però, Mediobanca si trova a ricoprire più parti nella commedia senese: è advisor della Fondazione per la soluzione dell’indebitamento, ma ne è anche creditore attuale (attraverso i cd. Fresh 2008) e forse futuro (se riesce il piano di salvataggio “tutto italiano”), ma è anche competitor di Banca MPS attraverso la sua branca “retail” CheBanca! Che confusione sotto il sole di Siena.