Era da molto tempo che volevo scrivere di cioccolato, uno dei miei soggetti alimentari preferiti, ma non trovavo l’occasione giusta per rendere omaggio a questo frutto che è esotico di origine, ma ormai cosí nostro nell’uso e nei consumi da farlo considerare come uno di casa. Ieri, grazie alla mia piccolina, l’occasione è finalmente arrivata. La mattinata era perfetta per un giretto in centro, una di quelle piccole gioie mamma-figlia che servono a creare bei ricordi per il futuro, e, complice il tripudio di cuori nelle vetrine “sanvalentiniane”, dopo una mezz’ora di passeggino la mia primogenita ha cominciato a cinguettare che anche lei ne voleva uno di quei cuori. Ma non voleva quello di plastica colorata, cristallo, rose rosse, laccato o di pelouche. Lei, il suo cuore, lo voleva di cioccolato. E lo voleva subito. A volte il santo protettore delle mamme in crisi sembra piú latitante di un ricercato internazionale, ma a volte fa lo straordinario e ieri lo ha fatto. Almeno per me. Il laboratorio di un asso della lavorazione artigianale del cioccolato era aperto (poteva chiudere per San Valentino? No, a meno di non essere un po’ pazzo e Antonio Calosi non lo è) e io l’ho pacificamente invaso con borse, passeggino e la mia pargola in cerca di cuori. E li ha trovati. Tanti, di decine di taglie e gusti diversi. Al latte o fondente, farciti con frutto della passione (era pur sempre San Valentino!) o lamponi biologici, caffè, rhum o peperone rosso. Diverse intensità di colore (lasciamo perdere le “sfumature” in questi giorni, per carità) e sapore, ma tutti di cioccolato. Squisito. Una vera festa per il palato e per gli occhi. L’occasione perfetta per confermare la mia convinzione che ciò che spinge l’umanità verso il cioccolato è un istinto primordiale. La mia bambina è molto piccola, non ha nessuna cognizione del cibo che vada al di là della funzione primaria di nutrirsi e non ha mai, o quasi, assaggiato zucchero e dolcetti perché sono banditi dalla sua dieta. Ma le è bastato assaggiare per sbaglio e una sola volta il cioccolato (la colpa è del babbo, glielo ha dato lui) per desiderarlo in modo assoluto, come se fosse l’unico cibo che vale la pena mangiare. E’ sempre il primo della sua lista dei desideri e, mica per niente, anche il cuore che ha chiesto a San Valentino lo ha voluto di cioccolato. Quello verso il cacao lavorato e trasformato in barrette o praline è un richiamo ancestrale, diretto verso qualcosa di intrinsecamente buono, positivo, in breve, benefico. E al quale non è salutare resistere. A oggi, la migliore spiegazione “scientifica” di come agisce il cioccolato sull’animo e sul fisico umani è il film Chocolat. L’arrivo di una fata del cioccolato getta lo scompiglio e porta la felicità in un villaggio della provincia francese sonnolento e bigotto. Nessuno riesce a resistere al richiamo del cioccolato, nemmeno il terribile sindaco moralista e represso che fa di tutto per far chiudere la cioccolateria e cacciare la fata cioccolataia Juliette Binoche e la sua amabile bambina. La scena che lo vede addormentato e “ubriaco” di cioccolato nella vetrina della cioccolateria la mattina di Pasqua è memorabile. E, a suo modo, conferma un detto di Oscar Wilde: l’unico modo per liberarsi di una tentazione, è cederle.
La ricetta Dopo la scorpacciata nel negozio di Antonio, sono tornata a casa con il mio bottino preferito: tavolette di fondente extra. Sono perfette per tutto. Dalla cioccolata in tazza alla Sacher. Io le ho usate per fare il budino di cioccolato con la ricetta che usava mia nonna. Il suo era infinitamente più buono, probabilmente aveva un ingrediente segreto che si è dimenticata di tramandare alle nipoti, ma anche il mio non viene malaccio. Certo, è calorico come un incubo, però, una volta ogni tanto si può osare. Sbriciolate il cioccolato fondente, circa 200 grammi, e fatelo sciogliere in poco burro dentro una casseruola dal fondo spesso, unite mezzo litro abbondante di latte intero caldo in cui avrete sciolto un etto abbondante di zucchero. Aggiungete per ultima la panna tiepida (200 ml) con dentro un foglio di colla di pesce precedentemente ammollata in acqua fredda e dove avrai sciolto la colla di pesce e un cucchiaio di amido di grano. Amalgamate il tutto con cura e fate cuocere a fuoco basso finché il composto non comincia ad addensarsi. A questo punto, versate nello stampo (o negli stampini) e lasciate intiepidire, quindi riponente nel frigo per almeno due ore. Guarnite a piacere con lamponi, panna montata, crema calda, arance candite, noccioline tritate e caramello, coulis di rhum e fragole…