lavoro_cinesi«Sul totale del Pil nella provincia di Prato, il lavoro che viene sviluppato dalle imprese cinesi vale l’11%, pari a 705 milioni di euro». Così il direttore di Irpet Stefano Casini Benvenuti intervenuto questo pomeriggio all’istituto Stensen di Firenze ad un incontro sul tema “L’integrazione delle comunità immigrate e l’imprenditoria straniera”. «Più in generale, allargando la veduta sulle ricadute delle imprese cinesi su quelle italiane nel pratese, si può arrivare ad un Pil che tocca quasi il 21%, con cifre che si aggirano su un indotto di oltre 600 milioni di euro.- ha aggiunto Benvenuti – Quell’indotto italiano della produzione cinese  è dovuto al fatto che gli imprenditori orientali hanno sempre più fornitori locali, pagano ai pratesi l’affitto dei capannoni, utilizzano servizi di consulenza di commercialisti e avvocati».

Stefano Casini Benvenuti, direttore Irpet

Il 33% delle esportazioni della provincia di Prato sono delle imprese cinesi Gli investimenti cinesi nel pratese valgono l’8% del totale, ovvero 125 milioni, aggiunge il rapporto dell’Irpet che scandaglia le relazioni transnazionali delle imprese del Paese asiatico e il loro contributo all’economia locale. Le esportazioni estere delle imprese cinesi, inoltre, con un valore pari a 767 milioni di euro, costituiscono il 33% delle esportazioni complessive dalla provincia di Prato. «Questo risultato è frutto anche della maggiore propensione all’export delle imprese cinesi, motivata sia dalla composizione settoriale, sia dalla loro maggiore apertura internazionale» ha aggiunto il direttore di Irpet Benvenuti.

E’ il tessile il settore in cui le aziende cinesi danno il maggior contributo I settori produttivi in cui maggiore è il contributo della comunità cinese sono il tessile-confezioni  (81%), il commercio (10%) e i servizi personali (5%). I settori economici autoctoni che maggiormente si avvantaggiano della presenza di imprese e famiglie cinesi sono invece la distribuzione di energia elettrica (23%), le attività professionali (17%), amministrative (16%), finanziarie e assicurative (13%) e del commercio (10%). «Il 2015 dovrebbe segnare la definitiva uscita dalla crisi con una crescita che Irpet stima dell’1,1%, dunque con dati superiore a quella italiana. – ha concluso Benvenuti – Se gli elementi di incertezza ancora presenti nello scenario nazionale e internazionale si sciogliessero, sarebbe possibile una crescita addirittura dell’1,7%. Al netto delle problematiche riscontratesi nell’ultimo periodo con condizioni di lavoro assolutamente oltre la decenza umana consentita, ed in condizioni tutt’altro che di sicurezza, il contributo della comunità cinese in questi dati è assolutamente fondamentale».

Nel triennio 2011-2013 miglior fatturato per le imprese cinesi  Da segnalare, durante l’incontro di oggi,  l’analisi effettuata da Intesa San Paolo su circa 1.400 bilanci aziendali di imprese straniere con almeno 500.000 euro di fatturato, soprattutto di società di capitale, con un fatturato complessivo pari a  4,4 miliardi di euro nel 2013 (3,1 milioni di euro per impresa). Dal confronto con le imprese italiane negli stessi settori di specializzazione e con analoghe dimensioni aziendali emerge nel triennio 2011-2013 un’evoluzione leggermente migliore del fatturato (-6,8% per le imprese straniere vs. -7,8%), in particolare nella distribuzione. La miglior tenuta del fatturato è stata possibile grazie anche a un maggior sacrificio dei margini unitari (-0,6% tra il 2011 e il 2013 vs. -0,4%). La redditività della gestione industriale, pur riducendosi, è però rimasta superiore a quella delle imprese italiane (4,9% vs. 4,6%), grazie a un utilizzo più efficiente del capitale investito. Emerge, in particolare, un nucleo di medie imprese «vincenti» (tra 10 e 50 milioni di euro di fatturato) che sono riuscite a crescere (+7,6% tra il 2011 e il 2013) e a rafforzare la propria redditività industriale, salita al 6,2% nel 2013. Le imprese straniere mostrano poi una maggiore presenza all’estero con attività di export, favorite in questo molto probabilmente anche da legami con i loro territori di origine. In prospettiva, la crescita delle imprese straniere non può prescindere da un’intensificazione degli investimenti (materiali e soprattutto immateriali), anche attraverso un rafforzamento del grado di patrimonializzazione, che è nettamente inferiore al già basso livello medio italiano.