MONTEPULCIANO – Nadia tuo figlio come sta? “Aspetta che ti faccio vedere”. Mi aspettavo di trovarla disperata per la guerra nel suo Paese, ma è serena. Con calma sfoglia le foto sul cellulare e mi mostra la foto del figlio, Roman che è in divisa militare.
Si è arruolato?, chiedo. “Si, questa mattina. Ci ha detto di non chiamarlo, di non mandare cuoricini con WhatsApp, nessun messaggio”. E Perché? “Perché non vuole pensare ad altro che difendere la sua patria. Ogni sua energia fisica e mentale Roman la impiegherà per questa missione”.
Roman ha 39 anni, ha una bambina piccola che piange tutto il giorno perché ha paura che la guerra gli porti via suo padre per sempre, ha una moglie che teme per la vita di suo marito. Fino alla scorsa settimana la loro vita era quella di una famiglia normale; il lavoro, la scuola della figlia, le passioni, gli amici di una vita.
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Roman era poco più di un ragazzo quando la madre Nadia, a inizio degli anni Duemila, lo lasciò a Kiev con la sorella alle cure della zia, per cercare fortuna in Italia. La prima tappa fu Roma, poi Montepulciano, dove era stata richiamata da un’amica che lavorava come badante. La vita per queste donne è stata dura, i figli lontani, la solitudine, la lingua sconosciuta in un paese completamente diverso. La vita scandita dai giovedì liberi passati con le connazionali sulle panchine dei giardini e nelle piazze. Aspettando il giorno di tornare a casa e riabbracciare i propri cari. I figli.
Per ambientarsi in un paese che non è il tuo, questo paese che ti ha accolta lo devi idealizzare. Ed è stato certamente così per Nadia, che con gli anni ha portato in Italia sua figlia e sua nipote, che ha fatto le elementari e poi le medie e oggi frequenta il liceo a Montepulciano. Roman no, lui la sua terra non l’ha voluta mai lasciare, se non d’estate per fare visita in Italia a sua madre. Ma finite le ferie tornava nella sua Ucraina.
“Ti avevo detto che Putin era un delinquente”, mi dice Nadia con quel suo accento tipico ucraino, che pare scandito da un tempo più lento. Nadia ma non hai paura per il destino di Roman? Le chiedo colpito dalla sua serenità. Lei alza le spalle, mi sorride, “certo” mi dice, “non dormo da due giorni, ma lui combatte per una causa giusta. I primi di marzo c’è un pullman che parte dall’Ucraina, mia nuora e mia nipote dovrebbero prenderlo per venire qua da noi in Italia”.
Probabilmente è questo il pensiero che le concede quel briciolo di serenità, anche se la verità è che in questo momento così difficile la dignità di questa gente si eleva all’ennesima potenza e mai la vedresti piangere. Una dignità fatta dell’orgoglio che nella cultura del popolo ucraino è salvezza, sopravvivenza, destino che si compie.