SIENA – Quasi due mesi di conflitto e una fine che è sempre più difficile pronosticare. Tanti fronti aperti e le incognite legate alle volontà di Putin.
Matteo Gerlini, ricercatore presso l’università di Siena ed esperto di storia della relazioni internazionali, ha provato a disegnare una mappa delle guerra, tra antefatti, parti in causa e strategie.
Si parla del 9 maggio come data dirimente per la Russia, ma il conflitto in quale fase è?
“Io non credo che quel giorno sia così vincolante. La guerra, come i matrimoni, si fa in due. Quindi, allo stato attuale, pronosticare un cessate il fuoco mi sembra complesso. Per lo più, in assenza di negoziati concreti avviati”.
E’ opinione diffusa che Putin alla trattative si presenterà solo con qualcosa in mano. E’ d’accordo?
“Nei conflitti può essere applicata anche l’altra chiave di lettura. Si negozia, quando nessuno dei contendenti riesce a vincere. A questo proposito, non sono d’accordo con chi pensa che Putin debba portare a casa qualcosa, perché l’invasione dell’Ucraina può essere giustificata come azione difensiva da parte russa. Questa cosa è del tutto illegittima e non ha base storica. Non c’è stato quello che viene indicato come casus belli. Certo, i problemi ci sono, ma non sono unidirezionali. Non credo, inoltre, che né gli Stati Uniti, né la Nato possano accettare altre annessioni da parte della Russia ottenute in questo modo”.
Come mai, in Italia soprattutto, si continuano a trovare alibi all’azione di Putin?
“In realtà questa narrazione è iniziata ben prima, quando una parte dell’opinione pubblica era convinta che la Russia non avrebbe mai promosso offensiva bellica. Qualcuno si spingeva ancora più di là bollando il tutto come fake news e additando gli Stati Uniti. Quindi, direi che alcuni analisti si sono semplicemente sbagliati, mentre altri parlano, e parlavano, in virtù dei loro rapporti con la Russia”.
In questi giorni si parla della possibilità concreta che Finlandia e Svezia entrino nella Nato. Non le sembra che la trattazione si diversa da quella del caso ucraino?
“Sono situazione differenti. Il caso della Svezia mi sembra anche più interessante. E’ un Paese con una neutralità molto simile alla Svizzera, quindi non dettata da fattori esterni. Al contrario della Finlandia che ha dovuto combattere con l’Unione Sovietica. Detto questo, il possibile ingresso trova meno contrarietà, perché l’intenzione è stata manifestata a guerra in corso e dopo che la Russia ha attaccato a prescindere. In merito a ciò, va precisato che l’Ucraina non era affatto vicino all’ingresso nella Nato”.
Secondo lei chi parla di guerra per procura ha ragione?
“Direi di no. Ci sono due contendenti sul campo e nessuno è delegato di qualcun altro. Ovviamente non la Russia, ma neppure l’Ucraina, che non rappresenta gli Stati Uniti. Qualcuno evidentemente ha la memoria corta o quantomeno ferma al 2014. Nel 1994 con il memorandum di Budapest, l’Ucraina ha accettato di disfarsi dell’arsenale nucleare in cambio della promessa russa dell’integrità territoriale. L’Occidente, allo stesso tempo, si impegnava a non includerla nel patto atlantico. Mi sembra evidente quale sia la parte che non ha rispettato gli accordi”.
Dopo la parziale retromarcia della Germania, l’Europa in che direzione sta andando?
“Credo che la nazione da guardare sia la Francia. La Germania ha rapporti commerciali ‘pesanti’ e radicati con la Russia e quindi non mi stupiscono le divisioni dentro il mondo politico tedesco”.
Già, la Francia. La conferma di Macron cosa comporta per quanto riguarda la guerra?
“Ci sarà una continuità con quanto avvenuto finora. Che, per inciso, non mi sembra che abbia prodotto grandi risultati a livello di diplomazia. Semmai c’è da chiedersi cosa avverrà se vince Marine Le Pen. Sarà difficile vedere le cose inalterate a quel punto”.
La guerra per certi versi ha unito l’Europa. Si può pensare a un futuro al di fuori dalla Nato?
“Io credo che l’Europa, militarmente, senza il patto transatlantico non possa funzionare. Si tratta dell’auspicio di certe correnti nazionaliste francesi, ma la nostra storia dice altro. L’Europa è nata nel legame transatlantico e ne ha vissuto anche le crisi. Di fatto quando questa sinergia è più forte, lo è anche l’Europa, pur tenendo presenti tutte le contraddizioni del caso. Mi sembra che in questi mesi Biden non abbia cercato di scavalcare i leader europei”.
Che ruolo ha l’Italia?
“Mi sembra che abbia un peso rilevante. Sono convinto che se l’elezione del presidente della Repubblica fosse andata in un altro modo, ci troveremo di fronte a un panorama differente. La permanenza di Mattarella, e di conseguenza anche quella di Draghi, ha confermato una collocazione solida dell’Italia. Cosa che per esempio, nei Governi precedenti, era meno netta, come dimostra il rapporto con Putin”.
La Cina quanto è lontana dal conflitto?
“Abbastanza ed è volutamente così. Per i cinesi non mi sembra che la guerra non si sia tradotto in buon affare: al di là dei progetti sulle forniture energetiche, che però, se si parla di gasdotti, devono essere realizzati. L’identità con la questione Taiwan non è così marcata. In più, è tutto da dimostrare che la Russia voglia essere legata a doppio filo con l’economia cinese. Gli impegni in Africa offrono dimostrazione su cosa significhi fare accordi con la Cina. Non è un Paese che fa regali”.
L’attenzione delle prossime settimane dove va posta?
“Credo sia interessante osservare ciò che succede nella fascia meridionale dell’Ucraina, in quanto le forze russe sono intente a impadronirsi di tutta l’area costiera. Se ci riusciranno, si spingeranno fino alla Moldavia e alla Transnistria. Mi sembra che la zona del baltico in questo momento sia un obiettivo secondario. Sempre che il caso Finlandia non cambi le carte in tavola”.