L’abbiamo sentita mille volte. Chi non ha in mente quella frase «Schettino, lei forse si è salvato dal mare ma io le faccio passare l’anima dei guai. Torni a bordo, cazzo!». La voce era quella del Comandante Gregorio De Falco che intimava al Comandante della Costa Concordia Francesco Schettino di tornare a bordo della nave appena naufragata. Oltre trenta mesi sono trascorsi da quella notte di gennaio nelle acque di Isola del Giglio. E oggi ognuno di quei due personaggi è tornato alla ribalta delle cronache a ruoli invertiti. Schettino in cattedra a dare lezioni, De Falco zittito e trasferito ad un incarico amministrativo. Uno nell’immaginario collettivo incarnazione del male, della codardia e della fragilità e debolezza umana. L’altro simbolo del bene e del riscatto di un Paese messo alla gogna e alla berlina. L’eroe in divisa a cui l’Italia intera aveva bisogno di aggrapparsi in quella drammatica notte. L’altro il “mariuolo” da cui prendere le distanze. La polarizzazione del bene e del male probabilmente è un fatto naturale. Davanti ad un fatto che sconvolge le nostre coscienze è innato il desiderio di esaltare le buone azioni e condannare le brutte. Una sorta di espiazione collettiva. E l’Italia non ha tardato ad aggrapparsi a quella voce ferma e decisa, lucida e rigorosa. E chissà che i primi non siano stati proprio quei suoi superiori che quella notte, impotenti, hanno assistito al passaggio ravvicinato della Concordia davanti a Le Scole e oggi hanno deciso di metterlo in un angolo. Quella di De Falco, in effetti, è sempre stata una figura “scomoda”. Ricordo quando decise di arrivare al Giglio in occasione dell’anniversario del naufragio. Pur facendolo nel massimo del riserbo, proprio per non generare possibili equivoci, non appena la notizia si diffuse piombarono al Giglio due “guardie del corpo” in divisa pronte a “accompagnare” il comandante che invece, contravvenendo ad un ordine ricevuto, aveva deciso di tornare al Giglio con la sua famiglia e in borghese per rendere omaggio a quei trentadue corpi. Fu obbligato ad indossare la divisa e obtorto collo a rilasciare interviste. “Obbedisco” ebbe a dire. Ad un’imboscata di un noto format televisivo domenicale in cui a sua insaputa De Falco si sarebbe dovuto incontrare in diretta con Schettino il comandante si rifiutò di andare, una volta scoperto l’inghippo. Così come non tardò la macchina del fango a mettersi in moto. «De Falco arriverà al Giglio per fare campagna elettorale. Mario Monti lo vuole candidare in parlamento» si affrettarono a scrivere alcuni soloni per screditarne la corazza. La storia ci ha poi detto come andò a finire. Altra storia quella di Schettino e del suo arrivo al Giglio. Il Tribunale di Grosseto aveva predisposto la perizia a bordo del Concordia sulla strumentazione e l’ex comandante decise di prendersela comoda e di arrivare nell’isola toscana con ben due giorni di anticipo. Arrivo tutte le mattine al porto con la macchina come una star e ressa di fotografi e telecamere ad attenderlo con tanto di passeggiata sulla croisette in stile Cannes. Il tutto per finire con una conferenza stampa tra l’improvvisato e l’arrangiato davanti al pontile Galli nel più perfetto stile della sceneggiata napoletana alla maniera di Trevi, Merola e Abbate. Quelle di De Falco e Schettino, come tante altre migliaia di storie, nella tragedia della Concordia sono molto diverse ma controverse allo stesso modo. Quello che è accaduto oggi, al di là delle motivazioni che inevitabilmente potranno essere alla base della scelta, merita una profonda riflessione. Non tanto per il destino professionale di De Falco su cui nessuno di noi è chiamato a mettere bocca, quanto piuttosto su come questo nostro Paese riesca ogni volta che esprime qualcosa di buono a distruggerlo lasciando quella sensazione di non compiuto. «La natura umana è così inesplicabile – scriveva Oriana Fallaci in Intervista con la storia – ciò che divide il bene dal male è un filo talmente sottile, talmente invisibile. Non dissi nulla e pensai che, a volte, quel filo si spezza tra le tue mani mischiando il bene e il male in un mistero che ti smarrisce. In quel mistero, non osi più giudicare un uomo».