Wham

Gli Wham saltarono fuori il 16 ottobre del 1984. Quarant’anni esatti fa, improvvisamente.

E George Michael, lui si, fu una folgorazione. L’altro, quello moro, si vedeva che stava lì per bellezza. “A fare numero”, come diceva il nostro allenatore quando eravamo contati e doveva mettere Lallo a fare l’ala sinistra.

George Michael era sorridente, abbronzato e schifosamente bello. E quei capelli lunghi, biondi e cotonati erano il nostro sogno proibito: quando avevamo diciott’anni, si andava in discoteca il sabato sera ma soprattutto la domenica pomeriggio, facendo attenzione a tornare in tempo per Novantesimo Minuto e Domenica Sprint, con il Verona di Bagnoli che andava a vincere lo scudetto.

Oddio. L’album in sé non era niente di clamoroso., anche se “Careless Whispers” fu una specie di manifesto programmatico: il classico lentone, magari un po’ fuori tempo massimo. In tempi dove i pezzi “cheek to cheek” stavano tramontando e anche i disc jockey più bravi non li inserivano più nel programma.

Ma quell’album (il long-playing, si diceva) ebbe talmente successo che gli Wham furono richiamati in fretta e furia in sala d’incisione per un singolo (45 giri) a tempo di record, in ossequio alla legge del business che impone di battere il ferro finché è caldo. E uscì, proprio a ridosso di Natale, il famoso “Last Christmas”. Con annesso videoclip, che all’epoca era quasi più importante del disco e che DeeJay Television prese a trasmettere in continuazione, con il tipico effetto del Palio a Canale 3.

Lì, gli Wham finirono direttamente nell’iperspazio. Perché la canzoncina non era male, ma c’era soprattutto il video. E il video era talmente ruffiano da riuscire irresistibile, con quei ragazzi bellissimi, la baita di montagna, il caminetto acceso, la neve e lui e lei che si innamorano scambiandosi sguardi ammiccanti. Lui era George Michael, ovviamente: mentre l’altro (il moro) lo avevano già relegato a mansioni più spicciative, tipo piazzare le palline nell’albero. Fu un successo così clamoroso che il pezzo entrò nella leggenda, fino a diventare uno dei classici che si usano ancora adesso per annunciare il Natale, come “Jingle Bells” o “Happy day”.

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Erano, quelli, gli anni ‘80. E il segreto degli Wham (e dei Duran Duran, degli Spandau Ballet eccetera eccetera) era che te ne facevano sentire il profumo. Anzi, ti ci facevano proprio entrare dentro, regalandoti l’illusione di vivere nel migliore dei mondi possibili: perché anche noi eravamo giovani, belli, vestiti con il Moncler, la Best-Company, i Naj Oleari e le Timberland, e destinati a festeggiare prima o poi il Natale in una baita di montagna. Con la neve, le ragazze e tutto il resto. Anche se già lavoravi in fabbrica e ogni mattina affrontavi il -20 di quell’inverno leggendario con la Vespa 50. E il freddo era meno freddo, con le cuffiette dell’walkman nelle orecchie e quelle canzoncine lì.

Che poi gli Wham finirono quasi subito. Classica modalità tipo 883, dove quello che funziona si mette in proprio e l’altro sparisce dalla circolazione: e te lo ritrovi dieci anni dopo sul giornale, quasi irriconoscibile, che ha aperto un ristorante a Formentera o ha tirato su una ditta di trasporti a Chicago.

Però, al di là della vita vissuta e dell’acqua scorsa sotto i ponti (George Michael è morto nel 2016, il giorno di Natale, pensa te) rimane quell’album li.

Che ad ascoltarlo adesso sembra una cosetta da niente, eppure fu una roba epocale. Di quelle che a un certo punto arrivano, e poi non passano più. Forse, anche quello, servì a cambiarci un po’ la vita.

Quarant’anni.

Sembra ieri.

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