In politica non si può mai dare per scontato che due più due faccia quattro. Soprattutto quando le somme si fanno senza l’oste, cioè quando si pensa che basti sommare le scelte calate dall’alto dal ceto politico affinché i voti degli elettori seguano a ruota.
C’è un elettorato di sinistra che ormai il Pd renziano non vuole più vederlo nemmeno in cartolina. Per mille motivi, partendo dalle politiche sul lavoro, passando a quelle sulla scuola e sull’immigrazione, ma senza dimenticare anche il modo aggressivo e denigratorio con cui spesso è stato affrontato il dissenso proveniente da sinistra. Poi ognuno può dare il giudizio politico che vuole su questo, ma il dato rimane.
Ritornando, dunque, alle somme che potrebbero non tornare: siamo sicuri che quell’elettorato sarebbe disposto a votare comunque forze di sinistra alternative al Pd, nel caso in cui queste si alleassero col Pd stesso?
Temo che la situazione sia purtroppo molto più complicata rispetto a quella descritta dagli appelli accorati all’unità delle forze di centro-sinistra, lanciati con l’animo di chi pensa, o vuol far credere di pensare, che basti un po’ di buona volontà e ciò che è stato scientemente rotto giorno dopo giorno per lungo tempo, si possa ricomporre d’improvviso dentro un abbraccio riparatore.
Questi appelli danno, infatti, per scontato che i voti del Pd e quelli delle altre forze di sinistra si possano sommare automaticamente, una volta che le relative classi dirigenti decidessero di correre insieme in nome del fronte popolare anti Grillo ed anti Salvini.
Ma, visto che l’auspicata coalizione servirebbe soprattutto per i collegi uninominali (ricordiamo che non c’è nemmeno la possibilità del voto disgiunto ad agevolare l’appello al “voto utile”), siamo certi che gli elettori di MDP, di Sinistra Italiana o Possibile, sarebbero disponibili a far confluire il loro voto, chennesò, su Renzi o su la Boschi laddove se li ritrovassero candidati unici della coalizione per il collegio? O, invece, non finirebbero per rinunciare alla loro prima intenzione di voto pur di evitare che ciò accada, magari orientandosi verso il M5S o l’astensione?
Come in fondo siamo sicuri che gli elettori renziani del Pd sarebbero disponibili a far confluire il voto su Bersani o D’Alema, se richiesto loro dalla candidatura nel collegio uninominale?
D’altronde se passi anni ad accusare compagni di partito e possibili alleati di essere gufi, nemici dell’Italia e di formare tra loro un’accozzaglia, poi succede che da una parte i tuoi elettori si convincano di non voler avere più niente a che fare con quei gufi, antipatriottici e “accozzati”, e dall’altra parte che gli elettori di quest’ultimi maturino, specularmente, l’idea di non voler avere più niente a che fare con chi li ha ripetutamente insultati.
Se fai del dividere un programma politico, poi finisce che magari almeno quello di obiettivo lo raggiungi.
Per questo i richiami dei padri nobili del Pd, indubbiamente utili a far fare bella figura a chi li proclama, rischiano purtroppo di arrivare con un gran bel po’ di ritardo, “dopo i fochi” direbbero a Firenze.
In ritardo se non, chissà, rispetto alle scelte che faranno i dirigenti dei partiti, ma probabilmente rispetto a quelle degli elettori chiamati ad orientarsi sulla base di quelle scelte.
Se le mucche sono nel corridoio, i buoi potrebbero invece essere ormai lontani all’orizzonte mentre viene chiusa la stalla.