Un jackpot da oltre 9 miliardi di euro. Lo ha vinto lo Stato nel solo 2010. A tanto ammonta la somma delle entrate erariali su un totale di spesa da parte degli italiani di oltre 61 miliardi di euro per il gioco d’azzardo legittimato. Slot machines, lotto, superenalotto, gratta e vinci, videopoker e lotterie. Chiamateli come volete ma il loro nome, ahimè, per molti italiani, anche in tempo di crisi, suona come sinonimo di droga.
 
Numeri da non giocare I dati, presentati sabato scorso a Monteroni d'Arbia (SI) dall’associazione Orthos, sono emblematici anche alla luce del fatto che le entrate per l’erario dal 2004 sono aumentate di soli, si fa per dire, 2 miliardi di euro mentre il volume nazionale dei giochi, nello stesso periodo, è più che raddoppiato. Frutto, questo, anche delle pressanti campagne mediatiche per diffondere i sistemi per incentivare il gioco d’azzardo. Le vittime, non senza colpe, di questo giro incessante di euro, tra vincite e pesanti perdite, non sono solo le classi più abbienti ma anche le fasce più deboli della società come pensionati, disoccupati, giovani, casalinghe o extracomunitari.
 
Ma che fine fanno questi soldi? Entrate allo stato puro nelle casse dei Monopoli di Stato che diventa complice di una “tossicodipendenza” da gioco d’azzardo. E complice non tanto per quanto ci guadagna ma per quanto non investe per la cura o la prevenzione di una patologia che affligge gli italiani popolo di giocatori. Già, perché il Gioco d’Azzardo Patologico non è stato ancora recepito tra i “Livelli essenziali di assistenza” e quindi “non esiste” come patologia riconosciuta nel nostro Paese. L’Organizzazione Mondiale della Sanità però, già nel 1980, definiva questo fenomeno a metà tra patologia e divertimento come una “malattia sociale”.
 
La proposta «Perlomeno una misera percentuale delle entrate erariali dal gioco d’azzardo basterebbe per sostenere gli interventi di cura e riabilitazione per i giocatori. Basti pensare che nella vicina Svizzera, solo per fare un esempio, viene prelevato a tale scopo il 5 per cento».  L’appello arriva da Riccardo Zerbetto , direttore scientifico dell’associazione Orthos. E giunge al termine della sperimentazione di un progetto che la stessa associazione ha portato avanti per cinque anni andando a curare 180 persone con un trattamento residenziale della patologia collegata al gioco d’azzardo. L’associazione, unico esempio in Italia nel suo genere, ha sede proprio nel senese non distante da Monteroni d’Arbia dove vengono curati “i pazienti” con un rigido ed articolato programma d’intervento psicoterapeutico.
 
Il futuro di Orthos è una scommessa Peccato però che, insieme alla sperimentazione, siano terminati anche i fondi messi a disposizione dell’associazione nonostante i risultati raggiunti e riconosciuti anche in ambito istituzionale nel corso di un convegno svoltosi a Monteroni d’Arbia lo scorso 12 novembre. Orthos, grazie ad un team di esperti che ha affiancato Riccardo Zerbetto, ha condotto studi e ricerca sul campo e nel corso di 5 anni sono stati condotti 18 moduli residenziali di cura (uno ancora in corso) della durata di 21 giorni. A questi sono seguiti gli incontri mensili di verifica a favore di 180 utenti di cui 85 provenienti dalla Toscana che, prima fra le Regioni italiane, si è mossa per fronteggiare questa “malattia sociale” finanziando la sperimentazione del progetto omonimo.
 
Basterebbe chiamarle droghe Nel corso dell’incontro il direttore scientifico di Orthos Riccardo Zerbetto ha illustrato un’attenta panoramica sulle normative vigenti in materia con i rispettivi limiti inerenti la possibilità di mettere a norma un progetto come Orthos che non prevede l’abuso di “droghe”, come previsto dalla legge sulle Comunità terapeutiche per tossicodipendenti che si ispira all’Atto di Intesa Stato-Regioni del 1999. Di pari passo è emersa la necessità di aggiornare la valutazione sul programma già avviato nel 2008 dal Gruppo di Lavoro istituito dalla Regione Toscana anche alla luce della forte accezione di attualità e, anzi, di anticipazione del Progetto Orthos. Nel Piano Integrato Sociale Regionale 2007-2010 (punto 7.12) si legge infatti “La prevenzione e cura delle condotte di abuso e delle dipendenze” è previsto “il fenomeno delle dipendenze da sostanze illegali e legali (alcool, fumo, farmaci) e delle nuove forme di dipendenza patologica non correlata all’uso di sostanze, per la sua vastità e problematicità, per la natura di “patologia cronica e recidivante”…che tuttavia, al di là dei pronunciamenti formali, non ha ancora trovato forme concrete di traduzione normativa”. 

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