Non ha nulla di epico la storia di Ginevra, intesa come La Russa, la giovane renziana messa fuori dall’Esecutivo del Pd comunale di Siena. A metterla alla porta, senza un minimo di preavviso è stato il segretario comunale Alessandro Mugnaioli, perchè la Ginevra in questione, in occasione degli attacchi del caporenziano Stefano Scaramelli alla linea del Pd senese pro-rimpasto di giunta, anzichè schierarsi con il “suo” segretario comunale, preferì la sintonia renziana. Chi vuole può anche divertirsi nelle metafore, individuando nel Mugnaioli il Re Artù che si è sentito tradito, e nello Scaramelli l’ardimentoso Lancillotto. E magari in Bruno Valentini un altro dei cavalieri, Ser Brunor, giusto per assonanza. Quello che manca, che ormai è una sorta di fantasma, è proprio la tavola rotonda. Nel senso di un partito “rotondo”, ma non appiattito nelle scelte dei suoi vertici. Un partito “plurale” di teste che vogliono ragionare e discutere. E manca anche Camelot, nel senso che Siena – la Siena democratica, dei diritti, del riformismo – se ne sta zitta zitta. Perchè ciò che per ora è emerso dal caso-Ginevra, è soprattutto un can-can più mediatico che politico, come sempre accade a Siena.
Emergono così, da una parte la nascita su Facebook del gruppo “Io sto con Ginevra”, iniziativa delle donne renziane che non hanno potuto godere della solidarietà delle donne del Pd nel loro insieme, come accade solitamente in questi casi. E dall’altra, ancora esercizi su Fb della capogruppo Carolina Persi, sostenuta anche da altri/e dirigenti/e del partito, che con severo pragmatismo richiamano la Ginevra ad una coerenza delle scelte politiche: ha criticato Mugnaioli? Doveva dimettersi perchè l’Esecutivo è organismo che sottintende ad una fiducia reciproca. E siccome non lo ha fatto, Mugnaioli l’ha messa fuori. Senza preavviso. E magari anche senza pensare che la Ginevra, di questi tempi, sarebbe rapidamente assurta allo scomodo ruolo di simbolo della libertà di espressione negata. Lo scontro Bettollini-Scaramelli-Mugnaioli che ne è conseguito, è solo un altro capitolo di una saga che andrà avanti fino a quando le candidature regionali saranno definite, e di cui anche la Presidenza della Provincia, non è che una tappa intermedia. Quello che stupisce è l’assordante silenzio di centinaia di iscritti, che non sono neppure curiosi di capire come è andata davvero? Che importa se Ginevra e Mugnaioli sono stati sentiti dal Guicciardini? Cosa può aggiungere in più questo colloquio se non un’ipotesi di ingessata mediazione? Possibile che gli iscritti al Pd si lascino sempre asfaltare dalla mediazioni tra i propri vertici senza alzare la mano per dire almeno: si potrebbe riunire l’attivo degli iscritti, o l’assemblea comunale? Che tristezza! Nè un caso etico come l’epurazione di Ginevra, nè i duelli politici tra i vertici verso le candidature, smuovono la base piddina dal silenzio e dal torpore. Le decisioni passano sopra la testa di tutti. Eppure ci sono tanti giovani tra i segretari dei circoli comunali senesi. Loro che dovrebbero generazionalmente essere il seme del confronto pulito e trasparente, come possono lasciare che tutto scorra senza dialogo dentro un partito che pure è ancora il partito di riferimento per le cose della città e della provincia?
Domande inquietanti come sensazioni inquietanti lascia il passaggio di Roberto Gualtieri, europarlamentare, dalla festa del Pd senese. Gualtieri è uno che apre il suo sito con questa citazione: «Credo che Roberto Gualtieri sia tra i deputati più influenti di questo parlamento. Un uomo di grande conoscenza tecnica che rappresenta una modernità davvero esemplare nello svolgimento del mandato di europarlamentare». Un endorsement non da poco firmato Martin Schultz. Gualtieri è anche l’europarlamentare non renziano che buona parte del Pd senese ha votato in aggiunta all’accoppiata renziana Bonafè-Danti, ai tempi delle Europee. Ebbene Gualtieri, nelle vesti di presidente della commissione affari economici e monetari dell’Unione Europea, è venuto alla Festa del Pd di Siena a trasformare – con Profumo accanto – il board del Monte dei Paschi. Dal tandem Profumo-Viola, quale in realtà è visto il modello organizzativo della banca, Gualtieri è passato al triciclo Profumo-Turchi-Viola, per sottolineare che «le vicende più recenti testimoniano un merito del gruppo dirigente attuale del Monte dei Paschi che è bene, vada avanti nella sua interezza. Presidente, vicepresidente e amministratore delegato è bene possano proseguire nel loro lavoro». Ma per piacere!!! L’anello al naso se lo faccia mettere chi vuole. Il board del Monte è Profumo-Viola. Punto e basta.
E’ grave che mentre la Fondazione Mps e le istituzioni della città combattono per le dimissioni di due dei quattro consiglieri di amministrazione espressi dalla Fondazione, in modo da inserire due membri espressi dai “pattisti”, il Pd dalla sua festa offra ad uno di loro – Marco Tuchi – l’alibi dell’indispensabilità. E marchi, così, ancora una volta, il terreno della politica. Tutti d’accordo con Gualtieri dentro il Pd? Ha fatto bene a promuovere Turchi nel board proprio ora, mentre la questione dei pattisti esclusi dal CdA della banca potrebbe avere conseguenze pesantissime? Non pare un clamoroso scivolone di ingerenza politica? E non avrebbe dovuto essere, semmai, proprio Turchi l’apripista di una corale lettera di dimissioni del Quartetto, nell’interesse collettivo? Invece il Pd senese tramite l’endorsement di Gualtieri, lancia un messaggio chiaro: giù le mani da Turchi, accada quel che accada.