Non si tratta di una questione politica né di portare avanti uno scontro ideologico; si tratta in primo luogo di stile che dovrebbe contraddistinguere il dialogo tra istituzioni e di rispetto che dovrebbe permeare le relazioni tra le varie articolazioni di uno Stato.

Quando un Sindaco decide di ricorrere ad un gesto estremo, per certi versi disperato ma estremamente riflettuto e ponderato vuol dire che tutte le vie del dialogo, tutte le strade per una gestione, come da prassi, di una questione sono state esperite senza esito.

Ed allora, ogni volta che ad una lettera, poi divenute decine, non viene offerta risposta, ogni volta che un appello cade nel vuoto ecco che il Sindaco viene svilito nella propria funzione, spogliato delle proprie vesti, umiliato nella propria autorevolezza e trasformato in un esattore per conto dello Stato nei territori. Fare il Sindaco però è un’altra cosa, o almeno dovrebbe esserlo; significa difendere la propria comunità, amministrare le risorse pubbliche negli interessi di questa e soprattutto concorrere a pianificarne il futuro, esprimendosi su quelle che rappresentano le scelte di fondo, le decisioni sostanziali.

Troppe volte in questi anni questo nobile ruolo è stato bistrattato, privato financo dei più elementari strumenti ed abbandonato al timone, solo, in un mare in tempesta.

C’è molto di questo nella decisione di iniziare oggi uno sciopero della fame, forma nobile e pacifica di protesta silenziosa, ferma e quotidiana opposizione a qualcosa che si ritiene ingiusto e sbagliato; vi è l’assistere impotenti a scelte calate dall’alto, abitudine che non passa mai di moda e che ha contraddistinto, purtroppo, l’attività di tutti i governi in questi anni.

C’è la ferma intenzione, concentrata in una dura sfida con sé stessi, di voler portare la propria idea, la propria posizione, di voler sedere al tavolo laddove si decidono le sorti del proprio territorio.

C’è molto di questo nella questione geotermia che sta animando da mesi un pezzo di Toscana, laddove le province di Pisa, Siena e Grosseto si toccano sfiorandosi. Aree marginali, periferiche, attraversate da infiniti serpentoni di curve che sembrano non avere fine; aree poco abitate, condanna e peccato mortale, impedimento reale per una seria presa in considerazione da parte chi si appresta a scegliere per loro.

Aree che custodiscono una risorsa, unica e preziosa, impossibile da delocalizzare, che scorga dal ventre delle loro terre e che accompagna la vita lenta, a tratti immobile, di queste comunità.

La geotermia è studiata e bramata in Europa, tanto che laddove esiste ha rappresentato e rappresenta il volano di espansione di quei paesi; da noi, come su tutto, dalla partita di calcio alla scelta del Papa, se ne parla da anni, spesso a sproposito, senza aver mai, e realmente, fissato dei punti fermi ed inconfutabili.

Di fronte a questa indeterminatezza si è lasciato insinuare il tarlo del dubbio da chi vorrebbe far calare il sipario su questi secoli di storia economica ed industriale, trionfo della filosofia “del tutto sbagliato, tutto da rifare”, estasi del “NO” italico a tutto come rifugio per non affrontare i grandi temi e per rimandare all’infinito decisioni che, poi, si decide semplicemente di non decidere.

Non possiamo permetterci, anche stavolta, di assistere impotenti ed immobili alla fine triste di un altro film; molti di questi territori lo hanno già vissuto con la fine dell’epoca mineraria, con la quale, dopo decenni di sfruttamento del territorio e delle sue genti, dopo generazioni di monocultura produttiva ed economica, dopo ragazzi strappati alla propria giovinezza per scendere in miniera, si scelse, dalla sera alla mattina, di spegnere la luce lasciandosi alle spalle macerie e cancellando, con un colpo di spugna, decenni di vita e di fatiche di queste comunità.

Stavolta, il film, dovrà contenere un altro finale.

E se tanti sono stati gli errori commessi nel passato con un Enel mai obbligata, soprattutto nell’epoca della sua natura pubblica, a concorrere strutturalmente all’evoluzione di questi luoghi congiuntamente, parallelamente e proporzionalmente alla sua espansione industriale, con un territorio, dopo le miniere, reso ancora una volta dipendente e legato a doppio filo ad un altro grande player industriale che imperversava, con la mancanza di una visione globale di sviluppo che sfruttasse la geotermia anche al di là della produzione elettrica connotando di un’immagine green tutti i settori e la vita di queste comunità, ecco che tutto ciò non può rappresentare un valido motivo per far scorrere i titoli di coda.

Ci sono domande alle quali il governo non può sottrarsi. Qual è il piano b per questo territorio se si confermasse l’esclusione della geotermia dagli incentivi e dalle energie rinnovabili anche nel decreto FER2? Quali sono le strategie immaginate per territori ed aziende che la loro via di sviluppo l’hanno intrapresa decenni fa e che non ammette, tout court, cambi repentini di direzione senza provocare stravolgimenti sociali, economici e culturali?

Quali sono i piani energetici per il nostro paese e per la Regione Toscana e con quali fonti alternative alla geotermia si intenderebbe soddisfare l’attuale produzione realizzata con questa risorsa e che ammonta al 30% del fabbisogno toscano ed al 3% di quello nazionale?

Come si potrebbe fronteggiare una possibile dismissione o un quantomai probabile ridimensionamento del concessionario anche e soprattutto in un’ottica di tutela ambientale e di salute pubblica?

Si possono coniugare in modo efficace e serio esigenze di tutela ambientale e di sacrosanta e doverosa protezione della salute pubblica con le necessità del nostro vivere, con la famelicità energivora della nostra società, ed anche dei più strenui oppositori della geotermia? Forse sì, forse di questo dovremo continuare a ragionare come queste comunità stanno facendo da decenni con risultati che sono sotto agli occhi di tutti.

Non si può sfuggire dal rispondere a queste domande, non si può decidere per conto di queste comunità senza aver loro illustrato quali sono le strategie future, qual è il destino che dovrà attenderle.

Non è questione di scelte. E’ questione, ancor prima, di stile. Poiché posso contestare le scelte ma sono pronto a rispettarle. Non posso rispettare lo sgarbo istituzionale perpetrato in danno di questi comuni. E’ il modo, insomma, prima del merito, che ancor m’offende.