In una mummia dell’epoca precolombiana sono stati scoperti geni resistenti ad alcuni antibiotici. Lo rivela uno studio dell’equipe di paleopatologi dell’università di Pisa. La ricerca è stata condotta su una mummia peruviana portata in Italia a fine Ottocento da alcuni medici e naturalisti italiani, conservata oggi al museo di Antropologia ed Etnologia dell’Università di Firenze, attraverso uno studio molecolare in collaborazione con l’Università della California. «Oltre a ritrovare e sequenziare antichi agenti patogeni – spiega il paleopatologo pisano, Gino Fornaciari – la mia ricerca ha permesso di identificare nei resti della mummia molti geni resistenti ad alcune tipologie di antibiotici. La scoperta suggerisce che le mutazioni di questi geni avvennero naturalmente nei batteri di mille anni fa e che dunque non sono necessariamente correlate all’abuso delle moderne terapie antibiotiche». L’analisi è stata effettuata sul patrimonio genetico prelevato dai resti di una ragazza di circa 20 anni, mummificatasi naturalmente grazie al clima freddo e secco delle Ande».
Lo studio La mummia, proveniente da Cuzco e databile tra l’XI e Il XII secolo, giaceva in una cesta costruita con corde di fibre vegetali e molto fessurata per facilitare l’areazione del corpo che, sottolinea Fornaciari, «si presentava avvolto interamente da due teli rossi e recava due pezze colorate in corrispondenza del cranio e del bacino: la testa appariva quasi completamente scheletrizzata, mentre una treccia di capelli neri risultava staccata e caduta in corrispondenza delle mani». L’esame degli organi interni ha permesso ai ricercatori di attribuire le cause della morte alla malattia di Chagas, una patologia tuttora endemica nell’America Latina, dovuta alla colonizzazione del protozoo parassita Trypanosoma cruzi nei tessuti e nei gangli nervosi degli organi interni, in particolare del cuore e del colon. Lo studio ha permesso di identificare molti geni resistenti agli antibiotici che avrebbero reso inefficaci i trattamenti coi moderni antibiotici ad ampio spettro: in particolare, la vancomicina, scoperta oltre 50 anni fa, per la quale si riteneva che i geni resistenti ad essa fossero comparsi in seguito al maggior utilizzo di questo antibiotico mentre il microbioma dell’intestino della mummia rivela che i geni resistenti all’antibiotico precedono di secoli l’uso terapeutico di questi composti. «La scoperta – conclude il paleopatologo – può avere anche implicazioni pratiche nella medicina moderna e aiuterà a capire l’evoluzione degli agenti patogeni».