Avrete presente l’inno internazionale della goliardia. Quel Gaudeamus igitur che facendo il verso alle scanzonate pose dei clerici vagantes, magnifica la gioventù e il suo ingordo carpe diem (cogli il giorno, l’attimo, vivi e godi il presente) che già Orazio aveva suggerito nelle Odi aggiungendo un verso di non poco conto: “quam minimum credula postero” (“confidando il meno possibile nel domani”). La versione del Gaudeamus che conosciamo è del tedesco Christian Wilhelm Kindleben (1748-1785). Nato povero, aveva potuto studiare grazie all’aiuto di alcuni mecenati e così laurearsi in teologia alla Friedrich Universität di Halle. Pubblicò l’inno nel 1781 in Studentenlieder, e il componimento seguì, grosso modo, un canovaccio ricavato dagli appunti manoscritti su un quaderno dai suoi compagni di studio. Considerato che il povero Christian rese l’anima a soli 36 anni c’è da auspicare che almeno nella prima gioventù abbia avuto ciò che prefigurava nei suoi versi (ragazze disponibili e attraenti, donne tenere, amabili e buone), poiché, contrariamente alle previsioni poetiche, non poté giungere alla “molestam senectutem” (alla scomoda vecchiaia). Di questo inno ho un ricordo particolare, quando, negli anni Ottanta mi capitò di ascoltarlo in un’università americana. Sembrava di essere dentro un film (americano, giustappunto): vialetti, campi da baseball, chiesa finto-gotica, ragazze e ragazzi in bicicletta, professori in versione austera e ridanciana, la torre con l’orologio che batteva un tempo fuori dal tempo, e il coro degli studenti (belli anche quelli brutti) impegnati a masticare latino al pari di un chewingum. Cantavano Gaudeamus igitur con una solennità tanto ingenua quanto commovente: “alla malora la tristezza, alla malora chi ci odia! / alla malora il diavolo / ogni retrivo e i denigratori”. Veniva naturale volere bene a quei ragazzi ancorché sconosciuti, che – “iuvenes dum sumus” (“finché siamo giovani”) – intonavano la giusta pretesa di essere felici. A ricordarmi tale situazione ho pure una foto. Una teoria di volti che talvolta mi sono divertito a immaginare nel loro oggi. Imbolsiti padri e madri di famiglia, insegnanti (magari nella stessa università), giornalisti, agenti di borsa, direttori di grandi magazzini, Er medici in prima linea, disoccupati vittime dei subprime. Uno di loro – seppi da amici – veramente vittima nel crollo delle Torri Gemelle. Li sento ancora cantare il Gaudeamus e la loro foto mi è diventata icona di ogni gioventù, anche di quella d’oggi, per la quale il presente sfugge, forse, meno di allora. Per dilatarsi, però, in un desertificato futuro.