Palazzo Sansedoni, sede della Fondazione MpsDelle azioni di responsabilità per chi ha dilapidato decine di miliardi che erano della collettività senese prima ancora che della Fondazione MPS, non si sa più nulla. L’apertura dei cassetti, dei computer, dei faldoni di archivio della medesima Fondazione, che avrebbe consentito anche di capirci di più non solo delle responsabilità individuali, ma anche di quelle politiche di un’intera classe dirigente che ha gettato Siena nello sfascio, è stata decisamente esclusa dal presidente Marcello Clarich. Dell’atto di indirizzo del marzo 2015, varato dal Consiglio Comunale dopo una faticosa opera di aggiustamenti e ritocchi condivisi da tutti i gruppi, la Fondazione non ha fatto sapere neppure di averlo letto.
E’ del resto evidente che proprio questo era il mandato di Marcello Clarich: interpretare le norme di autonomia delle fondazione bancarie, irrigidite dal nuovo protocollo varato proprio a marzo scorso, staccando il residuo legame tra Fondazione Mps e territorio senese. Altro che atto di indirizzo! E nel contempo accompagnare supinamente i piani di Profumo – a sua volta determinati in gran parte dagli indirizzi della Bce – verso non solo e non tanto l’aumento di capitale, ma verso una fusione o aggregazione, o comunque un matrimonio di interesse del Monte. I pretendenti non abbondano, lo dice lo stesso Clarich, per via dei 23 miliardi di crediti deteriorati e dei tremila dipendenti della Direzione installata a Siena, che nel mondo bancario italiano viene definita più o meno come una sorta di inutile sacca di scrivanie.
Dunque, si va verso le decisioni della Fondazione Mps sull’aumento di capitale, avendo ben chiara una cosa: Clarich ha fatto bene ciò che doveva. Non solo il Monte non è più di Siena, ma non lo è più neppure la Fondazione, nata come «Ente no-profit che ha per scopo statutario finalità di assistenza e beneficenza, nonché di utilità sociale nei settori dell’istruzione, della ricerca scientifica, della sanità e dell’arte, soprattutto con riferimento alla città e alla provincia di Siena» (decreto 8 agosto 1995). Oggi autonoma da tutto e da tutti, soprattutto da Siena.
Con le istituzioni cittadine imbavagliate, perché se dicessero quanto sopra, cioè l’ovvio evidente, ci sarebbe subito chi urla che la politica senese vuole rimettere le mani dentro il piatto. E se qualcuno, come fa per esempio, Stefano Scaramelli, si prova a dire che così non va, che è inutile seguire l’aumento di capitale Mps, che non ha più senso una Fondazione così, che quei 400 milioni in cassaforte grazie alla Mansi, potrebbero innescare un volano per il territorio senese, beh anche quella è un’ingerenza della politica.
Non è così. Non si vuol capire, non lo vogliono capire neppure personalità illuminate della città. Quelle che hannosaputo criticare quando i più non lo facevano e adesso, pur di tenere ancora il dito puntato contro il Pd, mettono in guardia dalle reiterate ingerenze della politica sulla Fondazione. Facendo un’operazione di retroguardia.  Non è più così.
Oggi la dialettica interna alla Fondazione è tra il supino allineamento ad un’autonomia distante da Siena, e chi prova a inserire possibili sprazzi di residuo legame col territorio. Non è per politica. E’ per sopravvivenza.
Il Pd è impegnato in un corpo a corpo tutti contro tutti al proprio interno. Non ha più nè testa nè forza per incidere nelle determinazioni di poteri forti, esterni alla città, rappresentati da Profumo – e poi da chi verrà – e Clarich, garanti e terminali di quei poteri euro-finanziari, che ormai determinano gli indirizzi di ogni politica economica, sia quella dei Governi nazionali, territoriali, che quella delle banche, e delle fondazioni bancarie.
Vero è che ai tempi dell’autonomia, determinata da un patrimonio immenso, quale era quello del Monte dei Paschi, gli intrecci con la politica sono stati i principali elementi dello sfascio. Ma oggi il Pd senese può arrivare solo a determinare la neutralizzazione del sindaco Bruno Valentini, prigioniero della ragnatela delle correnti, che finirà – dopo due anni incolori – per incanalare la città verso ulteriori tre anni di nulla.
Qualche decennio fa, una meravigliosa vignetta di Giannelli, tradusse il senso di una parola che Vittorio Mazzoni Della Stella, allora sindaco, pronunciò rivolto a tanti poteri – allora c’erano – della città: “inani”, tutto attaccato. Giannelli mise tanti nanetti a razzolare qua e là senza costrutto. Dal vocabolario: inane è il vuoto, il nulla. E di più: sono inani i tentativi di rinvigorire e salvare tradizioni morenti; inani le parole di chi non riesce ad agire nel concreto. Come a Siena. Dove non servirà un rimpasto di giunta a indirizzare verso quella rotta di rinascita che chi aveva vinto primarie ed elezioni aveva il dovere di mantenere ben diritta.
Quindi, tornando alla Fondazione, la città tutta – in primo luogo le avanguardie che hanno combattuto contro gli sfasciatori prima di tutti gli altri – dovrebbe interrogarsi su come fare a riconnettere Siena con la “sua” Fondazione che non è più tale. Abbaiare alla luna delle mani lunghe della politica non serve più.
Anche perché è questione di ore e la Fondazione deciderà se e come seguire l’ulteriore aumento di capitale del Monte. Cioè di una banca che già nel prospetto dell’aumento di capitale da 3 miliardi che parte ora e si concluderà il 12 giugno, come doveroso avverte di non escludere che possano arrivarle manifestazioni di interesse per essere acquisita o per una fusione, anche durante l’aumento di capitale da 3 miliardi che parte lunedì.
Un aumento di capitale che la Consob segue con molta attenzione. In una una nota l’organismo di vigilanza, afferma che l’aumento di capitale della banca senese “presenta caratteristiche di forte diluizione” e questo “determina il rischio che durante il periodo di offerta in opzione delle nuove azioni si verifichino anomalie di prezzo, consistenti in una sopravvalutazione del prezzo di mercato delle azioni rispetto al loro valore teorico”. La Consob sottolinea che “monitorerà attentamente” l’andamento delle azioni della banca durante il periodo dell’offerta, “con particolare riferimento al rispetto delle misure in tema di vendite allo scoperto“.
Marcello Clarich, comunque va già oltre l’aumento di capitale. E dice di essere convinto che “occorre un partner che aiuti a creare valore, sinergie”. Al momento “non sembra esserci un numero alto di pretendenti – ha proseguito Clarich – in ogni caso con l’aumento di capitale la banca si rafforza, non è più andare a chiedere un cavaliere bianco ma un tentativo di creare valore. Senza fretta”.
Bene, la tavola è apparecchiata. Ma la città è in cucina con un piatto di avanzi. I Cinque Stelle vanno dicendo da tempo che ci vuole un’altra Fondazione. Che questa così non serve più. Forse è l’unica strada. Certo è che ci vorrebbe ben altro approccio della città alla “sua Fondazione”.
Per esempio, chiedere se la Fondazione abbia fatto niente per proporre alla banca che la sede di Widiba, la banca on line, fosse a Siena e non a Milano. Un segnale di continuità di legame con la città che sarebbe stato concreto.
E poi, anche la maggioranza che guida la città e che fa perno sul Pd, potrebbe reclamare – come ha fatto l’opposizione – con energia l’apertura dei cassetti, dei verbali, insomma il libro delle scellerate scelte del passato della Fondazione. Perché senza chiarezza sugli errori del passato, senza giustizia quantomeno politica sulle responsabilità, non si riparte. O si ripartirà zoppi, come le anatre e tutto il resto. Ci sarebbe bisogno di reclamarla con forza l’operazione-trasparenza. Per provare ad alzare la voce. Almeno una volta. Nel mezzo all’assordante silenzio che non è certo degli innocenti.