«Cosa c’era prima di questa legge? Una lunga marcia iniziata il 20 settembre 2002 quando è stata fondata l’associazione “Luca Coscioni” e quando mio marito Piergiorgio ebbe un peggioramento della sua malattia, la distrofia muscolare». Così Mina Welby ieri sera a Bibbiena intervenendo alla tavola rotonda sul biotestamento. Mina Welby è da anni in prima linea per l’approvazione della legge sul diritto all’interruzione delle terapie qualora il soggetto interessato sia divenuto incapace di esprimere la propria volontà. La serata di riflessione sulla legge n. 219 del 22 dicembre 2017 recante “Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari” è stata promossa da Rotary Club, Fidapa e Lions Club Casentino in collaborazione con AMI (Associazione matrimonialisti italiana) Casentino, associazione “Luca Coscioni”, Comune di Bibbiena e LEO Foundation.
«Ci saranno sempre delle chiusure da superare» «Insieme a Luca Coscioni non chiedevano solo il fine vita ma anche la libertà di ricerca – ha spiegato Mina Welby -, poi insieme hanno fatto dapprima una battaglia politica, per la cui riuscita serviva però un cambiamento culturale generale, poi una lotta giudiziaria, infine un’azione di disubbedienza civile. La marcia è stata lunga ed è durata 10 anni, ma continua tuttora con l’associazione Coscioni con cui nel 2013 abbiamo depositato una proposta di legge anche per il suicidio assistito e l’eutanasia. Spero che questo venga fatto, anche se questa marcia continuerà per sempre, perché ci saranno sempre delle chiusure da superare».
L’avvocato Baldini: «Talvolta è solo la tecnologia che intrappola la persona nel suo corpo» Alla tavola rotonda è intervenuto anche il bibbienese Gianni Baldini, avvocato e docente di Diritto Privato e di Biodiritto: «Il testamento biologico è lo strumento con il quale la persona esercita il proprio diritto all’autodeterminazione terapeutica garantito dall’art. 32 della Costituzione, ossia che “nessuno può essere sottoposto ad una trattamento sanitario contro la sua volontà” – ha spiegato Baldini – Al medico viene indicato quali sono i trattamenti sanitari che si vuole o meno che vengano applicati in caso di incapacità ad esprimere la propria volontà in quel momento e di essere comunque accompagnati alla morte in modo dignitoso attraverso le cosiddette cure palliative. L’eutanasia si traduce invece nella richiesta che il paziente con prognosi infausta fa al medico di somministrare sostanze per indurre il processo della morte. Nel suicidio assistito, ed è il caso di dj Fabo, è il malato terminale stesso che pone fine alla propria vita utilizzando sostanze richieste e fornite dal medico. Nel nostro ordinamento tali comportamenti sono considerati reati. Eppure talvolta è solo la tecnologia che intrappola la persona nel suo corpo, perché la natura ne avrebbe già decretato la morte. Grazie ad ausili tecnologici biomedici, che sostituiscono funzionalità corporee fondamentali che il soggetto ha perduto, si interrompe il processo naturale del morire e può determinarsi una situazione di sospensione tra la vita e la morte».