La inaugurazione ad Arezzo del Teatro Petrarca dopo quasi un decennio di attesa è stata giustamente una festa. Una festa per quelli che c’erano (460 posti in tutto, tante autorità e invitati, come è comprensibile, così come è comprensibile il malumore di chi non è riuscito ad entrare).
Una festa per gli appassionati di musica, perché tra gli interpreti c’era nientemeno che la Divina Martha Argerich. Una festa per i sentimentali perché si è potuto a lungo parlare e scrivere del breve soggiorno della Argerich qui ad Arezzo negli anni ‘50, allieva di Arturo Benedetti Michelangeli. La retorica sprizzava da ogni parola e da ogni commento: una per tutte, l’ingenua affermazione che ora la città è di fatto quella della musica.
Il concerto, invece, è stato bello e intenso, poggiato sul virtuosistico repertorio per due pianoforti e sulla corona che Gabriele Baldocci e Daniel Rivera hanno fatto alla Argerich. Un programma generoso, comprendente le “Variazioni su un tema di Haydn” di Brahms, la “Suite Scaramouche” di Mihlaud, due Suites di Rachmaninov, “La Valse” di Ravel e “Les Preludes” di Liszt. Ora con l’uno, ora con l’altro, la “madre” di tutti i pianisti era veramente in forma, non troppo sussiegosa come l’abbiamo vista ultimamente, sembrava felice e ha tenuto in mano le redini di una serata felice.
Che, dal punto di vista musicale era relativamente interessante ma da quello squisitamente pianistico lo era fin troppo. La Argerich ha cercato e ottenuto un fraseggio incantevole ma ha anche indicato agli altri due pianisti il senso dell’interpretazione, fatta di uno slancio fin troppo impetuoso e di una capacità di illuminare le trascrizioni pur bellissime del programma in composizioni capaci di brillare veramente di luce propria. Bravi sia Baldocci che Rivera in questo percorso, il secondo – che è pianista capace di sapiente intimismo – un po’ abbagliato dalle fiamme che la vulcanica Argerich aveva deciso di accendere per la notte magica del Teatro Petrarca.