Risulterebbe da una indagine che il 32% degli italiani che nell’arco di un anno leggono qualche libro, abbiano scelto, fra questi, almeno un titolo ad argomento religioso. Così come sembra appurata l’esistenza di un pubblico di cultura medio-alta che anche in letteratura apprezza libri ove si parli o si alluda al Trascendente, ancorché esso rappresenti più una componente “estetica” che di fede vera e propria.
Certo è che la letteratura a questo proposito ci ha dato scritti di grandi suggestioni. Basti pensare al silenzio del dio absconditus, muto, latitante, entro cui vanno a iscriversi drammaticamente le parole di Quasimodo e di Primo Levi dinanzi agli orrori generati da guerra e nazismo. Oppure a Borges (“Io ti supplico: Dio, mio sognatore, continua a sognarmi”) che del suo non-credo fa quasi una insistita nostalgia del divino.
Del resto sul piano retorico funziona meglio il dubbio che la certezza di fede. Viene in mente, ad esempio, l’«ateologia» di Giorgio Caproni, espressa in una sorta di contro-preghiera che testimonia una religiosità senza fede; e persino fra i versi di Turoldo (frate e poeta) colpiscono maggiormente quelli attraversati da dolore e inquietudine, come quando per un mancato appuntamento di Dio si lamenta che “all’incontro cercato / nessuno giunge”. Altri nomi imprescindibili di tale filone tormentato e interrogante sono poi, in modi diversi, Corazzini, Rebora, Ungaretti, Betocchi, Luzi, Giudici.
Ma oltre la sfera personale, la letteratura certifica anche il doloroso rapporto tra Storia e Assoluto, l’irrisolto scandalo del Dolore e del Male. Dostoevskij (e non soltanto lui) ha prodotto laceranti pagine cercando risposte alla sofferenza degli innocenti. Eliot assiste, smarrito, allo spaesamento dell’uomo in una “terra desolata”. Mauriac si spinge con la narrativa fino alle zone franche della Grazia e sollecita Elie Wiesel a scrivere delle sue atroci esperienze in campo di concentramento poi narrate ne La notte (“l’Olocausto, a livello di Dio, resterà sempre il più inquietante dei misteri”). E ancora i drammi di Bernanos con i suoi personaggi prosciugati nell’anima da una perduta trascendenza. In questo frettoloso inventario non andrebbe infine tralasciato il pressante giudizio soprannaturale che troviamo in Kafka e nemmeno Buzzati, Berto, Landolfi, che fra angoscianti solitudini, “mali oscuri” e deformi spaccati di umanità insinuano trasversalmente la dimensione trascendentale.
Si sappia, insomma, che almeno nei libri non è difficile trovare il dio introvabile.