Anche l’arte festeggia i compleanni. In questi giorni è la volta della Maestà di Duccio di Buoninsegna. Sono trascorsi 700 anni esatti (9 giugno 1311) da quando la sfavillante ancona uscì dalla bottega del pittore per essere portata sull’altare maggiore del Duomo di Siena con un corteo che fu festa di popolo e di un’intera città. La Maestà è ritenuta a ragione il capolavoro di Duccio e una delle più significative testimonianze della pittura trecentesca. Opera di notevole modernità per il modo con cui seppe evolvere certi modelli figurativi (quali quelli di matrice fiorentina) verso un ulteriore realismo.
Constatare come il capolavoro duccesco continui, dopo sette secoli, a suscitare stupore e commozione, conferma nell’idea che l’arte è grande quando, attraverso il tempo – e pur essendo espressione di un determinato tempo – riesce a parlare (e ad emozionare) in ogni epoca. L’arte sopravvive dunque al suo artefice; testimonia una società, una cultura, una visione del mondo, ma ne va oltre. Certo è che non avrebbe senso, oggi, dipingere alla maniera di Duccio. Perché le forme artistiche si trasformano per rappresentare la società del momento o, in alcuni casi, per indicare come differenziarsi da quella stessa contingenza storica (che è poi un altro modo per rappresentarla). Però ogni qualvolta l’arte resiste alla storia mantenendo intatto nei secoli il suo messaggio emotivo, essa diviene “eterna” (e chiediamo scusa per l’aggettivo tanto solenne quanto logoro).
Perciò se la Nike di Samotracia, ormai fuori dalla società, dalle credenze e dalle forme estetiche del suo tempo lontanissimo, tutt’ora ci incanta, sta a dimostrare che i significati in essa compresi superano una forma non solo artistica ma anche sociale, per collocarsi, appunto, nel divenire del tempo.
E’ ovvio che quando noi definiamo “eterna” un’opera artistica non intendiamo illuderci sulla sua incorruttibilità materiale, ma alludiamo ad una immortalità che appartiene comunque al senso dell’arte. Solo il pensiero che l’Assunta del Tiziano possa andare distrutta turba le nostre sensibilità, pur tuttavia abbiamo la percezione che le “ragioni” che un giorno la crearono troverebbero nel tempo altre forme per manifestarsi come capolavoro. Per lo meno così è accaduto fino adesso.
Qui si fermano le nostre considerazioni rispetto a un tema che sappiamo complesso e molto dibattuto. Quanto poi a stabilire un giudizio di valore sull’arte contemporanea, valga per tutti la risposta dell’arguto e scontroso Gillo Dorfles: “glielo saprò dire domani”.