I grandi trattati di pace o economici, ormai è letteratura, oggi come centinaia di anni fa (purtroppo abbiamo una lunga storia di conflitti a ricordarci cosa siamo capaci di distruggere) vengono siglati in sedi prestigiose – castelli, palazzi, sedi regali e via elencando – e poi seguiti da pranzi sontuosi dove spesso si stringono anche i piccoli, vitali accordi che magari sulla carta avevano faticato a trovare spazio. A tavola, si consolidano alleanze e si progettano affari che poi avranno realizzazione concreta altrove, ma che proprio fra una portata e l’altra, hanno imboccato la strada ideale per venire espressi e condivisi. Come accade col cibo. Ci incontra a cena, a pranzo, alla pausa caffè al lavoro per condividere, poco importa se è una barzelletta o una confidenza, la tristezza della giornata o l’allegria della commedia vista al cinema la sera prima. La molla che spinge intorno a una tavola di casa o al tavolino di un locale è quella della condivisione, del confronto e, perché no, anche dell’ascolto dell’altro.
Immagino sia in questo clima, avendo ben presente cosa rappresenta, appunto, la condivisione del cibo, che all’istituto Sangalli di Firenze hanno progettato una serie di tre eventi sotto il titolo “La religione è servita. Ebrei, cristiani e musulmani si incontrano a tavola” e in cui i rappresentanti delle tre fedi monoteiste condividono, appunto, i cibi tipici della tradizione alimentare di ognuno. L’appuntamento di martedì 10 maggio alle 18 nella sede dell’Istituto di ricerca in piazza San Firenze 3, è con falafel, tajine di pollo alla frutta secca, kofta, cous cous alle verdure, hummus e nummoora. Un menù di tradizione della cucina mediorientale e magrebina a rappresentare la religione islamica. Il primo incontro era dedicato alla cultura alimentare ebraica e l’ultimo, programmato a fine estate, sarà con quella cristiana.
Credo che questa scelta da parte dell’Istituto Sangalli sia davvero importante, mandi un messaggio semplice con un forte valore simbolico perché indica la strada da percorrere per risolvere conflitti di lungo corso, che in tempi recenti hanno subito uno spaventoso inasprimento: confrontarsi e non gettarsi in faccia ciò che divide. Anche in cucina queste tre religioni si muovono su concetti, e alimenti, diversi che a una verifica più attenta, però, mostrano tratti generali comuni. A cominciare dall’osservanza di certe regole che per i cattolici si sono molto affievolite (le restrizioni della Quaresima sono poco praticate ma non significa che non esistano più) nei secoli mentre ebrei e musulmani le hanno mantenute più solidamente. Ed è certo che noi abbiamo il vino nella nostra simbologia alimentare-religiosa che per i musulmani è proibito, ma il pane c’è l’hanno anche loro, no?
L’ospite di martedì sarà l’imam di Firenze e presidente Ucoii Izzeddin Elzir, che illustrerà i significati religiosi e simbolici della tradizione culinaria islamica. A precederlo nel ruolo, il 6 aprile, era stato il rabbino capo di Firenze, rav. Joseph Levi e toccherà a don Luca Mazzinghi, presidente della Associazione biblica italiana, il compito di chiudere questa, mi auguro prima e non unica, rassegna interreligiosa all’insegna della condivisione a tavola.
L’idea è ottima, ma per farla passare bisogna sostenerla.
LA RICETTA – Pensavate al cous cous? Sbagliato. Ho scelto un altro classico dal menù proposto martedì: lo hummus. Non ho idea se la mia versione sia strettamente ortodossa, ma mi hanno insegnato così in Tunisia e spero possa andare bene anche altrove. Prendete 200 grammi di ceci cotti e frullateli insieme a una presa di sale, uno spicchio di aglio e olio evo finché non saranno diventati una crema densa e liscia. A questo punto aggiungete una spolverata di pepe fresco, due cucchiai di pasta di semi di sesamo (tahina) e amalgamate bene quindi aggiungete il succo di un limone e amalgamate di nuovo. Lo hummus é pronto e puó essere guarnito con prezzemolo tritato oppure coriandolo fresco. A volte io metto anche una cucchiaiata di yogurt intero e l’effetto è piacevole