Bisogna dare atto e merito ad Expo 2015 (mi è piaciuto molto, consiglio a tutti di andarci) di fare 100 mila persone al giorno senza essere un evento turistico. E non è una battuta per stupire o per voler essere originale a tutti i costi, ma proprio una valutazione tecnica.
Expo riesce a vendere moltissimi biglietti (tre milioni di persone al mese sarà pure una media inferiore alle previsione fatte dagli organizzatori, ma secondo me è davvero tanta gente), pur non essendo stato impostato come un evento turistico, cioè in maniera così spettacolare e popolare da attirare persone in modo “ruffiano”.
Onestamente, non saprei dire se sia stata una scelta voluta oppure no, ma gli esempi sono molti ed evidenti: non ci sono dentro Expo eventi di grande richiamo o grandi personaggi che attirano le folle; ogni padiglione ha il suo spazio ristorante, ma è chiaramente secondario, quasi nascosto, invece di usare la cucina tipica dei Paesi come un elemento di richiamo per il grande pubblico, che invece ama mangiare; gli spettacoli di ballo, danza e musica sono anch’essi marginali, perfino nei giorni dei cosiddetti “national day”, cioè i giorni di festa nazionale di ciascun Paese; quotidianamente ci sono 50-60 eventi, è vero, ma trovarli sul sito è una piccola caccia al tesoro; anche da un punto di vista commerciale, non c’è un grande mercato di gadget e prodotti dove fare spese, ma tanti piccoli negozietti più o meno ben forniti.
In altre parole, gli organizzatori di Expo hanno rinunciato a quelli elementi classici (personaggi di richiamo, pranzi e cene di cucina tipica, spettacoli tradizionali, calendario eventi, vendita di gadget) su cui si lavora per attirare il grande pubblico, nazionale ed internazionale.
E devo ammettere che hanno fatto bene. Perché la chiave di lettura di Expo è proprio quella del titolo, “nutrire il pianeta” ed è questo quello che si finisce per cercare dentro i padiglioni. Tanto da rimanere infastiditi, quando un Paese si limita ad informazioni generiche e non offre invece esempi concreti su quello che sta facendo in termini di sostenibilità ambientale, educazione alimentare, rispetto della biodiversità.
I cluster tematici dedicati a riso, cacao, caffè – ad esempio – sono la parte più deludente, proprio perché non affrontano i temi che promettono, ma sono invece soltanto una raccolta di piccoli stand dei Paesi che evidentemente non potevano permettersi un padiglione intero.
Si finisce insomma per apprezzare il rigore nel tenere ferma l’attenzione, in maniera non superficiale, sul tema dell’alimentazione e della salvezza del pianeta.
Con una considerazione finale: se venisse davvero realizzato anche solo il 50% delle pratiche virtuose raccontate nei vari padiglioni di Expo, non ci sarà assolutamente nessun problema a nutrire i 9 miliardi di abitanti previsti per il 2050…