SIENA – Alcune considerazioni a caldo e dunque suscettibili di parziale rettifica dopo una lettura più attenta e meditata sulle tracce dell’Esame di Stato (prova di italiano).
Il mio giudizio è sicuramente positivo per quanto concerne gli argomenti proposti, che uno studente del quinto anno e un minimo attento a quanto accade intorno a lui, dovrebbe avere familiari: Ungaretti, Pirandello, la Guerra Fredda, la funzione civile del patrimonio storico-artistico, il valore del silenzio (nell’epoca della comunicazione incessante), l’elogio dell’imperfezione, la trasformazione che subisce nell’era digitale la scrittura-confessione, la scrittura diaristica.
Non sempre ineccepibile – ma non mi faccio mai troppe illusioni al riguardo – la formulazione di alcuni punti delle singole tracce. Un esempio: in sede di “interpretazione” della poesia di Giuseppe Ungaretti si chiede allo studente di elaborare una riflessione “sulla modalità con cui la letteratura e/o altre arti affrontano il dramma della guerra e della sofferenza umana”. Praticamente una tesi di laurea triennale dove il campo d’indagine è costituito dall’intera civiltà dell’Occidente, a partire dall’Iliade di Omero. Less is more.
Dispiace per l’analisi del testo proposta (A1 e A2) che si resti fermi agli anni Venti e Trenta del Novecento, ma, a voler essere onesti, occorre riconoscere che è lì che tanti programmi svolti nel corso dell’ultimo anno si arrestano, quasi che Pavese, Calvino, Gadda, Pasolini, Sciascia, Morante, Ginzburg, Sereni, Volponi fossero ancora vivi e vegeti.
Di conseguenza, in attesa che i docenti di Lettere si convincano che il Novecento deve essere attraversato e non accostato semplicemente, anche a costo di dedicare minor spazio ai grandi autori del Medioevo, del Rinascimento e dell’Ottocento, bene ha fatto il Ministero dell’Istruzione e del Merito a continuare nel solco della tradizione.
E, a proposito invece della tipologia B e C delle tracce (testo argomentativo, riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo) bene ha fatto e farà il Ministero a non ignorare ciò che, nel bene come nel male, costituisce il mondo dei ragazzi: la minaccia di estinzione della specie umana, la soffocante società della prestazione, l’essere perennemente connessi, la mancanza di silenzio e di ascolto, il dominio della tecnica, il pathos dell’azione.