Capelli d’oro come il simbolo della bellezza femminile nel Medioevo, offuscati dal chiarore del volto e conteso dalle ‘lampe’ nel periodo stilnovista. Giovedì 23 maggio il Rotary Club Est di Arezzo, organizza una conviviale interclub con ospite Alessandra Paola Macinante, giovanissima studiosa di discipline filologiche e linguistiche (Hotel Minerva di Arezzo). L'autrice parlerà del suo libro “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi”, dotta e singolare tesi di laurea di una ventiduenne premiata con la pubblicazione nella prestigiosa collana "Quaderni di Filologia e critica" della Salerno Editrice. E il Rotary Est non ha voluto farsi sfuggire l’occasione di presentare nella città che ha dato i natali a Petrarca un contributo critico così originale e così “giovane”.
Il mito dei capelli nella poesia italiana Nel suo intervento l’autrice proporrà un breve percorso attraverso i più celebri ritratti femminili della poesia dei secoli XIII e XIV, al fine di mostrare come il topos della bellezza bionda sia saldamente radicato nell’immaginario medioevale e come, parallelamente, vi siano zone d’ombra nelle quali non penetra neppure un bagliore del lume dei capelli, offuscato dal chiarore del volto e conteso dalle ‘lampe’ degli occhi stilnovisti. Se è con Cino da Pistoia che le chiome dorate cominciano ad assumere un ruolo centrale nella descrizione della donna, spetta a Petrarca il merito di aver potenziato semanticamente quest’immagine, rendendola esemplare: i capei di Laura, sparsi al vento e avvolti in mille dolci nodi, si librano nell’aria, inverando il fittizio tremore di chiaritate cavalcantiano e legandosi indissolubilmente ai lacci d’Amore e Morte e alle fronde del lauro. Il percorso prosegue tra Certaldo e Gerusalemme, tra Boccaccio e Tasso: il novelliere e il poeta epico contaminano il canone breve lirico, l’uno ricorrendo a moduli narrativi e l’altro tingendo di rosso le chiome «sanguinose orrende». L’incursione nell’epica tassiana evidenzia la lunga durata e l’assoluta centralità che le chiome bionde rivestono ancora nel XVI secolo: nella Liberata gli errori giovanili e le erranze dei paladini cristiani sono, ancora una volta, legati da un ricciolo biondo, nelle cui ondulazioni si cela la figurazione metaforica della dispersione.
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