Una frontiera riconosciuta è il miglior vaccino possibile contro l’epidemia dei muri.
Ecco, se c’è bisogno di una citazione che sintetizzi tutto una riflessione, che abbracci un intero libro di poche pagine ma di grande densità, non può che essere questa. E’ il succo di ciò che ci vuole trasmettere Règis Debray.
In “Elogio delle frontiere”, più un pamphlet che un saggio, il navigato intellettuale francese non smarrisce certo le qualità che da anni possiamo riconoscergli. Verve polemica, allergia al politicamente corretto, frasi secche e taglienti, ragionamenti al limite della provocazione, ma appunto ragionamenti.
In questo mondo sempre più diviso, ci si divide anche tra chi vuole confini come muri e chi i confini proprio non li vuole. E per tanta gente – intendo gente come per esempio il sottoscritto – è bello riconoscersi tra i secondi: perché è giusto, perché alla fine siamo tutti uguali, perché sogniamo un mondo libero da paura, perché è perfino emotivamente appagante….
Eppure, eppure, è una bella trappola anche la retorica del mondo senza frontiere. Non fosse altro che i confini sono anche mappa, visione del mondo, ordine. A forza di volerne farne a meno, si lascia il campo a chi su quei confini intende costruire muri – e quanti ce ne sono oggi.
Abbiamo bisogno di confini da attraversare. Abbiamo diritto alla frontiera. Per fare fronte – afferma Debray – agli scivoloni mortali del va bene tutto, tutto si equivale, dunque nulla ha valore.
Perché no? Un libro che come minimo rimette in discussione molte delle nostre convinzioni.