Che tracce lasciano le elezioni amministrative del 5 giugno, verso il percorso che porterà anche Siena alle amministrative nel 2018? Giusto di tracce e segnali si può parlare, visto che la dimensione temporale dei due anni, nella politica contemporanea significa distanza siderale. Quindi poche analisi politico-sociologiche e attenzione solo ai numeri. I dati reali delle urne sono gli unici appigli concreti per ragionare seriamente sul voto amministrativo, il resto è fuffa. Come l’incredibile superficialità del Premier nonché Segretario del Pd, Matteo Renzi, nell’analisi del voto. Dice: «si poteva far meglio, ma il risultato non è negativo, visto che siamo ovunque oltre il 40%». Non è vero! Lo vedremo anche dai dati della Toscana. Altra cosa preoccupante: la prosopopea del Cinque Stelle di Di Battista, che nelle dichiarazioni post-voto, anziché sottolineare solo i veri exploit delle due candidate a Roma, Virginia Raggi, e a Torino, Chiara Appendino, ha voluto dare una dimensione totale dell’avanzata dei Cinque Stelle che non c’è. Nascondendo i flop di Bologna, Napoli, Milano, Di Battista ha voluto fare il verso a Renzi, proprio nel momento in cui il Movimento Cinque Stelle con il grande risultato di Roma e Torino, si pone come alternativa nazionale ad un Pd in netta flessione. La diversità che i Cinque Stelle vogliono affermare, avrebbe dovuto trovare riscontro soprattutto nell’onestà dell’analisi del voto.
Intanto la prima traccia da segnare nell’agenda del futuro voto a Siena è proprio questa: dire la verità, sempre. A cominciare da quelle liste civiche esistenti, nascenti, mutanti, che sorgeranno come funghi da qui al 2018 e che dovrebbero dire ben prima del voto, se correrano per un progetto alternativo al Pd, oppure per fare da stampelle al Pd. E di stampelle il Pd, non solo a Siena, ne ha bisogno. In virtù soprattutto delle due incredibile mosse del suo leader:
- l’abbraccio con Verdini;
- la campagna anticipata del referendum costituzionale di ottobre. Strategie che hanno allontanato quegli elettori del Pd di sinistra, che hanno così cominciato a dare concretamente seguito al pensiero che tentano sempre più disperatamente di respingere: il Pd non è più la loro casa. Pur politicamente “apolidi”, non certo tentati dal bluff tipo Fassina, non hanno votato il Pd. Nulla hanno da gioire, in questo i Cinque Stelle, perchè salvo che a Roma e Torino, almeno in Toscana non hanno saputo minimamente attrarre voti in uscita dal Pd. Anzi.
Seconda traccia per Siena: la macchina elettorale da guerra di Stefano Scaramelli, che non sbaglia un colpo, anche a Siena riuscirà ad arginare gran parte delle tentazioni di abbandono del voto di democratici delusi? E semmai a sostituire le defezioni con innesti di altre aree (vedi comitati elettorali per il sì). In invece in direzione opposta, chi sta tentanto seriamente, a Siena, di darsi una strategia per attrarre il voto degli eventuali transfughi dal Pd? Perché, stando al dato toscano del 5 giugno, ce ne potrebbero essere eccome. A migliaia, visto che il collante del tradizionale sistema di potere senese, che faceva differenze rispetto al resto del mondo circostante – il potere dei soldi del Monte – non c’è più.
Renzi dice che ovunque il Pd è oltre il 40%? In Toscana non è così: dalle europee del 2014, le perdite sono ingenti. Precisiamo che il raffronto fra i due test elettorali è spuriio, non è corretto, vista la differenza delle due elezioni e delle affluenze. E poi ci sono liste civiche coese al Pd che hanno drenato voti al partito, ma questo quadro serve comunque per farsi un’idea. E chi non se la vuole fare, liberissimo di continuare a far finta. Come fanno Renzi e i suoi dirigenti nei territori.
Ebbene, nella tradizionale roccaforte rossa toscana, nei sei comuni sopra 15 mila abitanti, al Pd è andata così.
A Grosseto il Pd domenica scorsa ha preso 7594 voti, il 19% del totale. Alle Europee di due anni fa conquistò 19937 voti, con il 50,8%. Sono 12343 gorssetani che due anni fa fecero la crocetta sul simbolo del Pd e che domenica non l’hanno fatto.
A Sesto Fiorentino il Pd domenica scorsa ha ottenuto il 28,66% con 6252 voti. Alle Europee del 2014 ebbe 18248 voti pari al 66,3%.
A Montevarchi il 19,9% pari a 2053 voti al Pd nelle elezioni di domenica; mentre alle Europee i voti furono 7056 pari al 62%.
A Cascina Pd al 30,1% con 5563 voti domenica; che invece erano 12.426 (il 58,1%) nelle europee del 2014.
A Sansepolcro, 1880 voti pari al 23,9% al pd domenica 5 giugno, mentre nelle europee del 2014 i voti furono 4751 con il 59,8%.
Ad Altopascio 1815 voti con il 41,4% al Pd domenica, contro il 48,5% con 2974 voti nelle europee 2013. Ecco, forse a Renzi, per quanto riguarda la Toscana, hanno fatto vedere il voto di Altopascio.
E così passiamo all’analisi dei numeri raccolti dagli esultanti pentastellati. Che in Toscana hanno ben poco da esultare, visto che non hanno centrato neppure un ballottaggio.
Terza traccia dalla elezioni del 5 giuno, in chiave futuribile senese: perché i Cinque Stelle non attraggono né chi è in fuga dal voto, visto che la percentuale di affluenza resta bassa da ogni parte, né chi è in fuga dal Pd e non sanno rendersi più credibili del centrodestra? Invece che baloccarsi con la diversità genetica, potrebbero sforzarsi con un po’ più di umiltà di addentrarsi in questa intricata foresta di analisi.
Dunque, facendo il solito “giochino” che abbiamo fatto prima con il Pd, saltabeccando fra comunali dell’altro ieri ed europee del 2014, ecco l’esito raggelante del voto in Toscana per i Cinque Stelle, assolutamente incapaci di andare oltre il proprio serbatoio intercettando l’astensionismo e i delusi di Renzi.
A Grosseto domenica scorsa pentastellati al 18,57% con 7430 voti contro i 7667 con il 20,1% delle europee 2016. Sostanziale conferma del proprio elettorato.
A Sesto Fiorentino 2370 voti ai Cinque Stelle domenica, pari al 10% con una perdita del 2,2% in percentuale sulle europee del 2016 quanto i voti furono 3371.
A Cascina Cinque Stelle al 17,87% con 3453 voti domenica scorsa, mentre ne ottennero 4119 con il 19,2% nelle europee 2016.
A Montevarchi 1201 voti con il 10,7% ai Cinque Stelle domenica 5 giugno, mentre alle europee del 2016 i voti pentastellati furono 1724 con il 15,1%.
A Sansepolcro Cinque Stelle con il 13,6% e 1082 voti alle europee 2014; 740 con l’8,6% domenica.
Se non vogliono fare finta, come Renzi, ce n’è di che riflettere per i pentastellati toscani.
Ultima considerazione per il centrodestra, un quadro talmente variegato delle varie coalizioni, da non poter fare le medesima analisi numerica possibile – anche se spuria lo ripetiamo, abbozzata per Pd e 5 stelle. Ma l’analisi politica è presto fatta. Il centrodestra in Toscana ha dimostrato, con i risultati ottenuti, di essere al momento l’unica l’alternativa credibile al centrosinistra. La nuova linea post-verdiniana di Mugnai-Bergamini per Forza Italia, nel mix con una Lega meno arrogante che da altre parti, ha consentito di calibrare nei territori ottime proposte. Come Antonfrancesco Vivarelli Colonna a Grosseto, favorito in vista del ballottaggio di domenica contro Lorenzo Mascagni del Pd. Il centrodestra, oltre a Grosseto, va al ballottaggio anche a Montevarchi, Altopascio e Cascina (con candidata leghista) e vince a Orbetello e Anghiari. Dunque, l’ultima traccia per il futuribile voto senese è secca: riuscirà a Siena il variegato mondo del centrodestra più o meno con il vestito “civico” e con l’aggiunta delle liste civiche di contorno, a liberarsi delle zavorre (comunque portavoti) del passato, replicando semplicemente quanto fatto a Grosseto con Vivarelli Colonna? Anche copiare, in politica è lecito. Un po’ meno bluffare. O fare finta, come ha fatto Berlusconi a Roma, dove in realtà è stato il vero architrave per Renzi: senza la scelta di Silvio di optare per “Arfio” Marchini, Giachetti non sarebbe mai andato al ballottaggio. Ci sarebbe andata la Meloni. E allora, se il Pd fosse stato fuori anche dal ballottaggio di Roma, Renzi avrebbe potuto fare meno giochetti di parole con quel 40% raggiunto ovunque dal Pd. Che, oltre ai dati toscani, è invece ben lontano da tante altre parti. E che comunque, a Siena, resta fin d’ora in chiave 2018, l’asticella da superare al primo turno per la macchina da guerra elettorale del Pd senese, oltretutto decisamente ringalluzzita dall’acerrima concorrenza interna. Perchéle divisioni – ci meditino sopra, se vogliono, i “contras” – aguzzano sempre l’ingegno dei comitati elettorali. E portano voti. A Siena più che altrove.