Chi abbia avuto l’opportunità di assistere alla celebrazione di un matrimonio ebraico, sarà rimasto affascinato da una liturgia così arcaica che ancora va a inscriversi nella vita di due persone e in un tempo – il nostro oggi confuso e interlocutorio – distanti millenni da ciò che quel rito evoca. Lui e lei sotto la huppà, baldacchino-casa così solenne e precario; il corteo che incede verso i rotoli della Torah mentre una voce (più che voce, singulto di memoria) cantilla versetti che parlano di mogli come vite feconde e di figli come germogli di ulivo; lo scialle del rabbino, benedizione carezzevole sulla testa degli sposi; e infine la rottura di un bicchiere, perché non può esserci festa se venisse dimenticato il dolore provocato dalla distruzione del tempio di Gerusalemme («Si paralizzi la mia destra se ti dimentico Gerusalemme», proclama il maschio).
Proprio in ragione di tali suggestioni, ci spingiamo a dire che quella cerimonia sponsale apparentemente anacronistica e che va a suggellare una relazione di corpi, di storie e di sentimenti, potrebbe benissimo essere presa ad allegoria del rapporto tra ebraismo e modernità, farsi cioè chiave interpretativa per capire quanto Sergio Quinzio (si legga il suo libro Radici ebraiche del moderno, Adelphi, 1990) chiamava «il senso ebraico della radicale contingenza del mondo». Ovvero stare dentro le cose della vita con l’adattabilità di un nomade sempre pronto a partire; con la consapevolezza che la realtà non solo “è” ma “diviene”; ridere e piangere a seconda degli accadimenti, senza mai distogliere lo sguardo dai frantumi di quel bicchiere nuziale e quindi con l’idea di mettersi a servizio della ricomposizione di ciò che si è rotto.
Esiste, insomma, una visione ebraica della storia da prendere come possibile chiave di lettura del tempo che stiamo attraversando. Visione, ben inteso, piuttosto complessa che nella letteratura contemporanea, ad esempio, viene spesso rappresentata dallo scrittore Abraham Yehoshua. Egli nei suoi romanzi racconta, anche con una certa crudezza, tormentate vicende di relazioni umane entro contesti storici i più diversi; narra di pregiudizi e intolleranze, di culture e religioni differenti, di incontri e scontri generazionali, di sentimenti e risentimenti.
Ecco. Nella contingenza di un presente che pare aver perso tutti i verbi coniugabili al futuro, risulterebbe utile confrontarsi sull’attualità di questa cultura. Avvertiti dalla sapienza del Talmud che, pur trovandoci in mano agli stolti, «il mondo non si mantiene che per il fiato dei bambini».