Allora io avevo fede in avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.
Ecco, la chiave del libro, perfino la spiegazione del suo titolo, è tutta qui, in queste due righe. Parole che non sono di Antonio Scurati e non sono nemmeno dell’uomo la cui breve vita Scurati prova a restituirci. Ma della moglie – Natalia Ginzburg, scrittrice che in molti abbiamo conosciuto e amato con “Lessico famigliare” – della moglie, appunto: con queste parole che grondano di malinconia e dolcezza. Quando tutto è ormai finito, quando quel futuro che per qualche tempo sembava schiudersi è ormai morto e sepolto.
Come è importante, come è carico perfino di orgoglio, perfino di una singolare ombra di felicità, il titolo di questo libro:”Il tempo migliore della nostra vita” (Bompiani).
Io non l’ho comprato per il titolo, ma solo quando ho saputo che parlava di Leone Ginzburg – il marito, per troppo poco tempo, di Natalia, appunto. Leone: ebreo di Odessa, trapiantato in Italia per le varie circostanze della storia, straordinaria figura di intellettuale già da giovanissimo, tra i fondatori dell’Einaudi. Una possibilità in gran parte mancata per la nostra cultura. E chissà cosa avrebbe potuto fare, se la sua strada non si fosse incrociata con quella del fascismo.
Tra i pochissimi a rifiutare il giuramento al fascismo e a perdere così la cattedra conquistata a soli 25 anni – L’onore è un motivato rifiuto. L’onore è obbedire senza abbassarsi. L’onore è sentire la bellezza della vita. E poi l’antifascismo già negli anni in cui tutti si dicevano fascisti. La resistenza con la forza delle parole e delle idee, senza mai sparare un colpo. L’arresto e il confino. La morte in carcere.
Una vita breve, con poca libertà, sempre che non si tenga conto della libertà che è del cuore e della testa e che non si lascia soffocare nemmeno in una cella. Ma soprattutto una vita che è stata una promessa di felicità. Quella di un giorno in cui si potrà non essere eroi. In cui la storia non ci chiamerà alle nostre responsabilità.
Il sogno di un futuro. Nella normalità. Tranne scoprire – magari quando è troppo tardi, magari nei pensieri amari di chi è sopravvissuto – che proprio allora abbiamo giocato le nostre migliori carte. Che lì si annidava il tempo migliore.