casanovaE’ stata pubblicata in Francia, dalla casa Laffont, una nuova edizione delle “Memorie” di Giacomo Casanova (la celebre “Histoire de ma vie”). Quattro volumi curati da Jean-Christophe Igalens e rigorosamente basati sul manoscritto originale conservato alla Bibliothèque Nationale de France, che lo acquistò nel 2010 per 7,5 milioni di euro. Come ha evidenziato lo stesso curatore, emerge da quelle pagine un Casanova nuovo e molto più complesso rispetto ai luoghi comuni in cui è stato confinato. Ad esempio, è vero che era un seduttore, ma frequenti furono i casi in cui fu lui a essere sedotto. Tanto che il libertino, in molti casi, venne spiazzato dall’innamorato.

L’edizione odierna (recuperando tagli, rimaneggiamenti, errori delle versioni finora pubblicate) attenua, fra le altre cose, l’immagine di un Casanova dissoluto, superficiale e senza scrupoli, a vantaggio di un personaggio più complesso. Innanzitutto, non un depravato, ma un grande amatore. E non soltanto; se consideriamo – scrive ancora Igalens – la sua capacità di cambiare paese, reinventarsi un futuro, non abbandonarsi a un destino unico. Insomma, una mentalità che lo avvicina al nostro mondo moderno.

Molti e di vario argomento (ancorché di modesto interesse) furono i libri pubblicati da Casanova. La sua fortuna letteraria è però legata all’opera autobiografica, al punto che si arrivò a insinuare che non fosse nemmeno inchiostro di suo calamaio, ma di altre e più brillanti penne (i sospetti si concentrarono su Stendhal). Resta il fatto che quelle memorie di una vita – e a maggior ragione ciò che l’autore probabilmente si inventa e fantastica – producono sicuri effetti letterari. Giacomo vi mise mano da vecchio, quando nella monotonia del castello boemo di Waldstein, dove svolgeva funzioni di bibliotecario, forse per assenza di fantasmi indigeni, si mise a inseguire i propri. Ebbe a confidare: «Ora che la mia età mi fa credere di aver finito di farla, ho scritto la storia della mia vita». Nacque così “Histoire de ma vie”, scritta in francese perché, sempre a detta dell’autore, “la lingua francese è più diffusa della mia”.

Brava e bruttissima Ecco, allora, il racconto di prigionie, fughe, avventure, incontri, amori, viaggi. Un variegato universo di geografie e umanità dentro il quale troviamo anche uno spaccato senese. Casanova soggiornò a Siena per alcuni giorni verso la fine dell’aprile 1770. Ad accoglierlo aveva trovato l’abate Giuseppe Ciaccheri, bibliotecario e vicerettore dell’Università. Oltre al Ciaccheri, almeno da quanto ricorda il veneziano nella sua “Histoire”, gli incontri senesi degni di memoria furono quello con la poetessa Maria Fortuna e con la marchesa Violante Chigi Zondadari. Maria Fortuna era una delle figlie del Bargello (il magistrato di polizia) e si distingueva per due proprietà: una esagerata bruttezza, una grande bravura nel comporre versi. Casanova ebbe modo di constatarne i requisiti il pomeriggio che, accompagnato dal Ciaccheri, si recò a casa Fortuna. Nel modesto salotto di famiglia, Maria fece sfoggiò delle proprie capacità poetiche sostenendo addirittura una sfida di improvvisazione con Casanova, il quale, sinceramente sorpreso dalle doti letterarie della ragazza, non mancò di complimenti. Altrettanto non poté fare per l’aspetto di quella creatura, tanto sublime nell’esercizio poetico, quanto “ripugnante” per le sue sembianze. Apprezzamenti che, una volta lasciata l’abitazione dei Fortuna, Casanova non mancò di esprimere al Ciaccheri, incorrendo in una clamorosa gaffe. Nel proseguo della chiacchierata risultò infatti evidente come l’abate fosse perdutamente invaghito della poetessa. Giacomo, per non avvilire ulteriormente l’amante di cotanta bruttezza, fece spiritosamente appello alla propria esperienza, concludendo che… «sublata lucerna» (spento il lume) il piacere poteva sempre ricavarsi.

Carpe diem, ma anche no In un’ottica casanoviana, più gratificanti risultarono le visite alla marchesa Violante Chigi Zondadari, una vivace e ancora piacente vedova quarantasettenne, ricca di interessi, la cui grazia non passò inosservata al Casanova. Fin dal primo incontro, avvenuto nel palazzo con affaccio su piazza del Campo, l’inguaribile ammaliatore mise in atto tutte le tecniche di fascinazione. Davvero divertente la schermaglia di corteggiamento che leggiamo nella “Histoire”. I due si confrontano sui loro diversi approcci alla vita. Casanova dice di essere ormai votato al ‘carpe diem’: «la libertà di godere solo dell’attimo è una grazia concessami dal dio Apollo». La nobildonna lo frena subito, non è di questo avviso, poiché «il piacere che scaturisce dai desideri e talvolta anche dai sospiri, è preferibile, perché infinitamente più vivo». Giacomo capisce subito che, in tal caso, l’impresa amorosa non è facile. Si guadagna, tuttavia, un invito a pranzo per il giorno dopo nella villa della marchesa a Vicobello. Qui venne consumato «un diner delicat». Non senza qualche imbarazzo dell’abate Ciaccheri, la conversazione cadde nuovamente su talento e mostruosità della poetessa Fortuna, sul lavoro non troppo nobile del padre, sulla loro casa frequentata da gentaglia (e solo allora Casanova apprese di essere stato a casa del Bargello). La marchesa Violante anche in questa occasione fece mostra di charme e intelligenza. E, ancora una volta il seduttore si accorse di essere stato sedotto. Perché lui – affermerà a motivo di quell’ennesimo invaghimento – in controtendenza con i suoi simili maschi, più passavano gli anni (all’epoca ne aveva 45) e più era attratto non dalla materia, ma dallo spirito, dall’intelletto delle donne («Lo spirito diventava il tramite di cui i miei sensi affievoliti avevano bisogno per mettersi in movimento»). Già la sera prima, uscendo da palazzo Chigi Zondadari, Casanova aveva dichiarato al Ciaccheri che, preso dal fascino della marchesa, la sola donna che avrebbe frequentato durante il soggiorno senese sarebbe stata solo lei, «e poi sarebbe accaduto quel che a Dio fosse piaciuto». A Dio non piacque e, presumibilmente, non piacque a Violante, per niente convinta dalle argomentazioni del suo corteggiatore circa il principio che “il bene preferibile a tutti gli altri è quello di cui si gode”, senza inutili attese e stillicidi di desiderio.

Fu così un Casanova minore quello che Giacomo produsse nei suoi giorni senesi. Niente alcove odorose di spigo e nobiltà, ma solo le lenzuola ruvide della locanda “I Tre Re”. Da dove fece i bagagli, ancora prima del previsto, alla volta di Roma. Mentre, in carrozza, viaggiava sull’antica Cassia, gli baluginava, insistente, l’immagine della marchesa Violante, la sua verve e spontaneità, la sua grazia nel «saper tornire un complimento appena le si offrisse il destro». A riprova di quanto fosse sincero nell’azzardare a dire che, ormai, più della carne apprezzasse lo spirito femminile.

 

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