Qualora anche la Pasqua volesse trovarci in compagnia di un buon libro, converrà orientarci sui classici. E due autori su tutti: Dostoevskij e Tolstoj. Se non altro per ripensare le ragioni di questa festività che celebra un mistero di morte e risurrezione su cui va a fondarsi una religione, una cultura.
Rileggere dunque Dostoevskij, magari il capitolo de “Il grande inquisitore” racchiuso nei Fratelli Karamazov, dove Cristo torna in terra e nuovamente viene condannato da un cardinale inquisitore la cui verbosità cozza sull’immobile silenzio di Gesù che ancora perdonerà i suoi giudici.
E’ noto che dei quattro Vangeli, quello di Giovanni fosse il preferito dallo scrittore russo (l’edizione della sua biblioteca è fitta di una sessantina di annotazioni autografe), forse perché vi trovava una maggiore corrispondenza di sentimenti, una visione del tutto cristologica a sostegno di una vita che, senza fede, precipiterebbe nella disperazione. Del resto, fino al termine della sua esistenza, Dostoevskij lottò non tanto contro l’incertezza se essere o no credente, quanto contro l’incapacità di credere.
Per venire invece a Tolstoj, egli sosteneva che “senza religione, come senza cuore, l’uomo non può vivere”. Ecco perché certi suoi personaggi (torna in mente Natasha o il soldato-contadino Platon Karataev di Guerra e pace) risultano, grazie alla purezza dei loro cuori, veri portatori di un amore salvifico.
Fin qui alcune considerazioni per chi, grazie a questi autori, intendesse ritrovare orizzonti spirituali. Ma non si dimentichi che con Tolstoj e Dostoevskij la narrativa dell’Ottocento raggiunge i suoi caratteri più significativi nel cogliere il senso drammatico della storia, l’introspezione dentro l’animo umano. Esiste a questo proposito un saggio di George Steiner (Tolstoj o Dostoevski, Garzanti, 2005) che pone i due russi come in contrapposizione, secondo l’idea – la ricordò Vittorio Strada recensendo il libro – che Tolstoj fosse sintesi “della tradizione epica che coglie la vita nella grande corrente della sua organica unità, mentre Dostoevskij l’espressione più alta della visione tragica che scandaglia l’uomo nelle sue vertiginose disarmonie”.
Steiner arriva ad immaginare che il drammatico dialogo fra Cristo e il Grande Inquisitore prima citato, potrebbe costituire proprio un sottinteso contraddittorio tra Dostoevskij e Tolstoj. Certo è che quelle pagine, tra le più potenti della moderna letteratura, rappresentano un sofferto confronto che in ciascuno di noi può accendersi ogni qual volta ci si trovi, allo stesso tempo, inquisitori e condannati.