berlusconi-renziRenzi è come Berlusconi, Renzi è il Berlusconi di sinistra.

Quante volte tra gli oppositori del Presidente-Segretario abbiamo sentito pronunciare questa frase.

Ammesso e non concesso che l’affermazione abbia un senso reale, viene allora da chiedersi perché le minoranze PD non ne abbiano mai tratto conseguenza, e abbiano invece riprodotto nei confronti di Renzi gli stessi errori compiuti per anni da tutta la sinistra con Berlusconi.

Errore n. 1: come a Berlusconi non si è spesso riconosciuta legittimità a governare, così si è teso a considerare Renzi un usurpatore alla guida del PD. Ora è vero che alle elezioni del Segretario Nazionale parteciparono anche elettori di destra, con tanto di eruzioni cutanee somatiche per lo sforzo di entrare nelle furono sezioni del fu PCI; e anche che c’è stato chi ha votato Renzi solo per far del male a quel PD in essere fino ad allora, usando la penna come una freccia dalla punta avvelenata o pensando a Renzi come una sorta di cavallo di Troia per entrare nel fortino della sinistra. Ma se poi tutti coloro non hanno avuto alcun pudore a dichiararsi elettori del PD, mediante una firmetta messa seduta stante in un registro, e se ciò bastava per essere legittimati a votare, non è colpa di Renzi, ma di tutti noi che non abbiamo capito l’assurdità del meccanismo. Chi è causa del suo mal pianga se stesso, ma soprattutto cominci a porci rimedio senza remore.

Considerare Renzi un usurpatore ha solo contribuito a creare l’attesa, immancabilmente disattesa, di una guerra finale contro l’occupante. Guerra che al termine dei salmi non essendo stata mai combattuta, ma nemmeno in fondo dichiarata, ha solo finito per indebolire le minoranze: difficile essere credibili come liberatori del PD quando poi avanzi verso il nemico stringendo tra i denti solo qualche emendamento parlamentare. Le guerre politiche o si fanno o non si fanno, non si annunciano a salve.

Errore n. 2: per anni la Sinistra ha rincorso l’agenda politica di Berlusconi, operando solo in negativo, in seconda battuta, di rimessa. Esattamente quello che le minoranze PD fanno con Renzi, finendo prigioniere nella fitta rete delle proposte del Presidente, nella “tonnara del no”: se ogni volta infatti ti ritrovi costretto solo a dimostrare il perché le proposte del Segretario sono sbagliate, senza però avere la forza di avanzarne di alternative, diventa una mattanza continua, in cui non solo vieni sconfitto ma appari come il conservatore che dice sempre no. Spesso non è nemmeno per incapacità di elaborazione politica che le proposte alternative non emergono, ma semplicemente per il fatto che il terreno di scontro le minoranze se lo fanno sempre scegliere dal Segretario, in una sorta di gara di slalom in cui i paletti li piazza sempre l’allenatore del tuo avversario, ovviamente come meglio si addicono alle sue caratteristiche, e tu finisci per subire passivamente i percorsi altrui.

Errore n. 3: si poteva dire tutto a Berlusconi, ma non che non avesse in testa un’idea di Paese. Di quelle che fanno rabbrividire, in cui gli egoismi sociali, le prepotenze di censo, il “relativismo” ad uso personale delle regole e delle leggi ne erano il tratto caratterizzante. Ma ce l’aveva. E anche Renzi ce l’ha (non si dica che ho fatto paragoni con quella di Berlusconi eh). Una visione, quella del Segretario, magari non dichiarata a monte, essendo arrivato alla guida del PD sull’onda di una sola idea forte, quella della rottamazione, ma che man mano sta emergendo dall’insieme dei provvedimenti che il Governo fa approvare. Un mosaico che si costruisce fiducia dopo fiducia, e che preoccupa sempre più le minoranze PD e settori più o meno ampi della società. Ma dalle minoranze invece quale visione complessiva del Paese emerge? Quale progetto di società e di Stato? Urge una risposta a questa domanda, che sia elaborata, partecipata, diffusa, articolata, complessiva, innovativa e via salendo con gli aggettivi fino al traguardo di un ben definito disegno politico strategico. Oggi non c’e una visione chiara e solida del futuro della nostra società e delle nostre istituzioni, un disegno di Paese, che sia riconducibile alle minoranze. E senza ciò tutto diventa solo un gioco al massacro. Sembra di stare dentro quel videogame in cui tiri la pallina contro un muro di mattoncini rompendone un po’ ad ogni colpo, ma vedendo il muro sempre più scendere a schiacciarti. I mattoncini del renzismo magari si sgretolano, forse anche per poca consistenza intrinseca, ma il muro cadrà addosso anche alle minoranze, e a tutto il PD, se nessuno sarà capace di mettere in piedi una costruzione nuova e alternativa.

Errore n.4: ma quante minoranze ci sono? Capisco che in Italia l’unità della sinistra appartiene al mito. Ma oggi tra chi è nel PD ma con posizioni diverse, chi è rimasto nel PD, chi invece è uscito e chi non c’e mai entrato, il panorama a sinistra è quanto mai frammentato. Un universo politico certo variegato e colorato come si addice alla sinistra, ma nel quale parrebbe ovvio trovare un filo rosso che leghi tutti intorno ad un progetto comune di rinnovamento della sinistra e del Paese. Tentativo di unire, o almeno federare, che ad onore del vero fece Giuseppe Civati, ma con scarse risposte da parte degli altri. Alla fine ciò che prevale è la ricerca spasmodica di motivi per differenziarsi: sembra una maledizione. Una maledizione che sta anche nel fatto che ogni volta, arrivati ad un certo punto, la divisione appare davvero come inevitabile, come l’unica soluzione possibile alle condizioni date in quel momento. Arrivati “a quel punto lì” non ti senti nemmeno di biasimare chi prende e se ne va, chi si divide. Ma come non arrivarci sarebbe la domanda. Il problema forse sta in qualche falla nei percorsi e nei processi interni, che la sinistra si accorge essere divisivi sempre quando ormai è troppo tardi per interromperli. Un occulto difetto endogeno. Qualche giorno fa un militante PD mi diceva: “sono stato dentro chat ‘renziane’. Lì i commenti sono al massimo di tre righe e nella maggiorparte dei casi per dirsi d’accordo con chi è intervenuto in precedenza. Qui, in questa chat di sinistra, ogni intervento è lungo almeno tre colpi di scroll sullo schermo del cellulare, e nessuno è d’accordo con nessun altro, nemmeno quando si dice la stessa cosa”

Errore n. 5: perlomeno negli ultimi tempi dell’era berlusconiana all’accusa lanciata al Cavaliere di essere un autocrate alla guida di un partito padronale, si faceva seguire un: “pur se bisogna riconoscere che una leadership sarebbe importante anche per la sinistra”.

Un passo avanti della sinistra verso la modernità politica, verso il riconoscimento della rilevanza della leadership. Certo poi Renzi, notata la disponibilità del dito, si è preso braccia e gambe andando ben oltre.

Ma le minoranze hanno invece rinculato, come già fecero al Congresso con la scelta di Cuperlo: una figura di spessore, preparata, dalle buone maniere, ma volutamente senza il profilo di un leader, così da tenere tutti dentro (Civati escluso) senza urtare troppo le sensibilità.

Non saprei infatti come altro definire l’individuazione di Speranza come leader, se non il rinviare la pratica a tempi migliori. Per carità lungi da me dare giudizi sulla qualità del politico, e sulle sue capacità come parlamentare. Ma come leader non pare accendere gli italiani e forse nemmeno, sfregandoli, gli svedesi.

Magari il detto “nomen omen” nasconde una verità, e come diceva Lino Banfi, alias Oronzo Canà, nel film “L’allenatore nel pallone” ad un suo giocatore relegato, prudentemente, sempre in panchina: «ti chiami Crisantemi, t’ho comprato i primi di Novembre, per cortesia…». Ecco, un leader di nome Speranza non sembra viatico per imprese epocali.

Scherzi a parte e nessuno me ne voglia (d’altronde il prendersi meno sul serio sarebbe un’ulteriore buona medicina per un certo mondo politico di sinistra), le minoranze hanno bisogno di un loro leader, che le rappresenti, le coordini, che le renda visibili e che le tenga unite. E che magari, perché no, le motivi anche un po’, dia loro carburante. Un leader che ovviamente faccia il leader e non il capo, cosa ben diversa. Ma rinunciarci in nome di un collegialismo spesso solo di facciata, di circostanza, che nei fatti finisce poi per diventare supremazia parziale di gruppi e gruppuscoli, forti nel loro orticello, ma per niente rappresentativi nel contesto generale, sarebbe un grave errore.

Insomma errare è umano, perseverare è diabolico: diavolo di una minoranza!