«Bisogna lottare» erano state le parole del padre di Matilde la prima volta che ci siamo sentiti quasi due mesi fa nel bel mezzo di una battaglia giudiziaria per veder riconosciuto il diritto alla salute della bambina gravemente malata. Erano parole che raccontavano forza, dignità e soprattutto speranza. Erano parole come scogli su cui aggrapparsi per non annegare in un mare di rassegnazione. Oggi quel «bisogna lottare» è e deve essere il nostro scoglio per non affogare in quell’oceano di banalità abituati, spesso, a guardare ai problemi che ci appartengono senza renderci conto della loro futilità. Spesso, dimenticandoci di scrutare, perlomeno per un attimo, chi si interroga ogni giorno sul valore della vita e su quanto debba essere necessariamente garantito il diritto alla speranza. Spesso, senza nemmeno voltarsi a guardare chi ha visto la propria dignità calpestata.
«Grazie» è stata la prima parola che il padre di Matilde mi ha detto oggi quando ci siamo sentiti per il semplice fatto di averlo chiamato all'indomani della sentenza della Corte di Appello che condanna Asl e Regione al rimborso spese per le cure di Matilde.
Non ho avuto le parole giuste per fargli capire quanto rispetto avessi per la sua dignità di padre e di marito, per la sua forza e per la sua speranza, per la sua voglia di lottare. E un semplice «grazie» è quello che io devo rivolgergli per non essere affogato, oggi, perlomeno per il tempo di una chiacchierata, in un oceano di banalità.
Un altro oceano, la piccola Matilde se lo lascerà alle spalle a fine estate volando in Florida per il terzo ciclo di cure.