Ogni volta che mangio una mela, e ammetto che accade spesso, se penso a ciò che sto mangiando provo un moto di solidarietà, un disagio sottile per la condizione della mela. Di fatto, sto mangiando un’innocente calunniata. Mai un frutto è stato più vilipeso nella storia. Nemmeno il fico seccato di schianto dal Padreterno, leggermente alterato perché la povera pianta non aveva frutti, ha subìto una sorte più ingiusta. La mela è un frutto semplice, gustoso, pieno di proprietà eccellenti dal punto di vista nutrizionale – avete presente quella storia che una mela la giorno leva il medico di torno? Ci sarà pure un motivo se diciamo tutti la stessa cosa dalle Madonie al vallo di Adriano e anche oltre – è diffusa nell’alimentazione della maggior parte del globo e, tutto sommato, ha un aspetto lineare, che rimane amichevole e fa tanto casa di campagna anche quando la lucidano con la cera e scintilla come un rubino al sole. Eppure, se esiste nell’immaginario collettivo un frutto peccaminoso, strategicamente subdolo e nefasto, quello è la mela. Poco importa se in tempi recenti in Italia l’hanno persino eletta a simbolo della lotta contro il tumore al seno (a proposito, ottobre è il mese della prevenzione e della raccolta fondi per la ricerca, ricordiamocene tutti, anche gli uomini che non ne soffrono le conseguenze dirette ma, di sicuro, quelle riflesse): la mela è il frutto proibito dell’Eden perduto, è il dono simbolo che elegge Elena di Troia la più bella del mondo e distrugge una civiltà, è l’inganno velenoso che porta Biancaneve, simbolo assoluto di purezza e innocenza, dritta dritta nella tomba. E’ vero, temporanea, ma pur sempre tomba. A guardare bene, poi, è sempre in mano a una donna che diventa pericolosissima e, per lo più, nociva. In fondo, Paride assegna il frutto che gli aveva dato una divinità femmina, non lo aveva mica scelto lui.
L’unica volta che un uomo si è impossessato di una mela ci ha fatto una fortuna e l’ha portata in casa di milioni di persone senza fare (troppi) danni. Una prova? Guardate la marca del cellulare, tablet o computer più vicino a voi e ditemi se non c’è una mela con un morso di lato stampigliata da qualche parte. Magari non sarà proprio lì accanto, ma nel raggio di venti metri almeno un apparecchio Apple c’è di sicuro.
Eppure questa storia che la mela è il frutto proibito, l’emblema dell’inganno, il catalizzatore della distruzione non mi torna. La mela non ha le phisique du role. E’ priva di complicazioni, simmetrica, dalla resa sicura. La possono mangiare tutti, anche i lattanti appena svezzati, non ha controindicazioni e rende bene nelle composizioni più semplici. E poi è culinariamente rassicurante, familiare, amichevole.
Cosa cuoce Nonna Papera ai nipotini? Una Sacher? Un Tiramisù? Il ciambellone con le mandorle? No. Una torta di mele. Cosa fanno le mamme ai bimbi tornati da scuola per merenda? La crostata di mele. Costa poco, si fa alla svelta e fa mediamente bene. Saliamo di difficoltà e di gusto? Bene, ecco lo strudel, ma anche questo è un dolce innocente, da casa, da famiglia. La sfogliatina con la mela va forte pure a colazione al bar: più tranquilla di così. E persino nelle “applicazioni” sul coté salato la mela si usa senza sofisticazioni ingannevoli: insalate, ripieni al forno, nei britannici chutney che accompagnano arrosti e bolliti. Anche il sidro di mele è innocuo perché, quando ce l’ha, la sua gradazione alcolica è trascurabile. La mela si spacca sempre in quattro pezzi uguali, basta incidere al centro ed è facile facile. Mica come l’ananas che per sbucciarlo ci vuole il machete o la pera che avrà comunque una parte piccola piccola e l’altre grande grande. O la melagrana. Già, la melagrana. Quella sì che è un frutto subdolo. Ha l’aspetto di una mela ma con la mela non c’entra per niente. Quella buccia così bella, intrinsecamente luminosa e lucida è dura come le squame di un serpente. Una volta aperta svela una polpa immangiabile, della consistenza delle spugne rinsecchite, ma contiene quei semi deliziosi, pieni di succo dolcissimo e bellissimi da vedere: piccoli cristalli rossi con riflessi rosati. Però per mangiarli ci vuole la pazienza di Giobbe perché vanno tolti uno a uno dalle “polpa-spugna”. E’ vero, però, che hanno proprietà antiossidanti da campioni, ma per renderle efficaci queste proprietà dovresti mangiare un etto di chicchi al giorno. Si muore prima di noia. E poi come si cucina una melagrana?
Al massimo si mettono i chicchi in una macedonia o in un’insalata dal tono esotico-chic. La melagrana è un frutto ingannevole e dal risultato sempre incerto. Più ci penso e più sono sicura: a Eva, Elena e Biancaneve non hanno dato una mela, ma una melagrana, che essendo subdola di per sé, ha ingannato il mondo col suo aspetto, ha fatto credere a tutti di essere una mela, e ha, come spesso succede, fregato un’innocente.
LA RICETTA Scherzi a parte, è vero che l’utilizzo dei melograni in cucina è piuttosto scarso, ma, quando si riesce a utilizzarli, i chicchi danno quel tocco sofisticato a molti piatti e rendono intrigante anche una preparazione semplice. Di recente mi è capitato di apprezzare un cocktail a cui il barman aveva dato una nota in più proprio aggiungendo succo e chicchi di melagrana. Prendete una manciata di chicchi di una melagrana matura, schiacciateli e ricavatene sul momento un po’ di succo a cui aggiungete un mezzo cucchiaino di zucchero. Fate sciogliere lo zucchero nel succo. Prendete del Prosecco o dello spumante brut e versatelo nei calici, aggiungete qualche chicco di melagrana e il succo della stessa. Brindate a chi volete.