Ricordate la “partitocrazia”? Quella degenerazione tipica della Prima Repubblica che conduceva ad assumere le decisioni fondamentali per il Paese fuori dal Parlamento, nelle stanze dei partiti, e che creava un legame di assoluta dipendenza degli eletti dai partiti che li avevano candidati. Tanto che in Parlamento si poteva osare di non rispettare quelle decisioni solo nell’ombra del voto segreto, e iscrivendosi all’oscura categoria (a volte con tratti eroici a dire il vero) del “franco tiratore”. Tanto che alle urne la croce si metteva nel simbolo, e va bene le preferenze per la persona, ma insomma quello che contava era il voto al partito. Il Parlamento esautorato dal suo ruolo di organo legislativo, il mandato elettorale che dal cittadino non andava al singolo eletto ma al partito, e il partito dominus assoluto del sistema.
La Seconda Repubblica nacque idealmente come sconfitta della partitocrazia, a colpi di avvisi di garanzia e referendum elettorali. Ma allora siamo ormai davvero alla Terza Repubblica, perché come definire oggi un sistema politico in cui una riforma costituzionale ed una legge fondamentale come quella elettorale vengono decise a pacchetto pressoché chiuso in un organismo di partito? Salvo la ratifica nel voto delle assemblee dei gruppi parlamentari, che plasticamente ricalcano le maggioranze schiaccianti dell’organismo stesso, e altro non potrebbe accadere vista la dipendenza della rielezione di ogni parlamentare dai vertici del partito.
Come definire un sistema in cui a tutti i parlamentari viene intimato (“ingiunto” è forse il termine più giusto) il rispetto di quella decisione, pena la loro esautorazione dalle Commissioni referenti, e la loro esposizione al pubblico ludibrio con al collo il cartello del disertore e del sabotatore, nonché l’invito ad andarsene dal partito?
Come definire un sistema politico in cui, a nuova legge elettorale approvata, tra l’abbandono delle primarie, i macro collegi da 600.000 abitanti, i capilista bloccati ed il fatto che questi, candidandosi in più collegi, potranno scegliere tra i secondi arrivati quelli da escludere perché “non allineati”, si creerà una dipendenza assoluta tra l’eletto e il partito che lo ha presentato? O per meglio dire: le candidature e le elezioni dei parlamentari dipenderanno quasi esclusivamente dalle scelte del partito.
Una partitocrazia all’ennesima potenza, una superpartitocrazia, verrebbe da dire. Una sorta di rivoluzione all’italiana, intesa a mo’ dei Maya come ritorno al punto di partenza, ma ancor più fulgidamente che pria. Il Parlamento ridotto a catena di montaggio delle volontà del vertice, volontà da tradurre in atti velocemente e meccanicamente come in una sorta di neofordismo della produzione legislativa.
E tuttavia la definizione di “partitocrazia” può essere fuorviante perché con quei partiti lì, quelli della prima ora, i partiti di oggi non hanno nulla a che fare. Ma, soprattutto, perché al momento di partito ne è rimasto, forse, uno solo ed è il Pd. Un partito dove l’elemento democratico si esprime tutto in un’unica soluzione, in un colpo solo, partecipato e aperto, ma pur sempre un unico momento, terminato il quale tutto è solo decisione senza partecipazione: l’elezione diretta del Segretario nazionale. Il resto è dettaglio, è streaming.
Il Segretario, una volta democraticamente eletto, del metodo democratico può dimenticarsene. Può contare, infatti, su una sua personale maggioranza e usare quella, mai scalfibile e tantomeno modellabile, per approvare ogni cosa ritenga opportuna, e per allestire una linea di comando che dal Nazareno arrivi fino ai circoli, senza la necessità di concertare alcunché con le minoranze.
Ma anche con l’Italicum la Legislatura si risolverà in un sol colpo, in un solo incontro (magari fatto di due round visto il ballottaggio nazionale di lista), alla fine del quale chi avrà vinto avrà vinto e non se ne parlerà più. Anche in questo caso l’elemento democratico si esprimerà una volta per tutte con l’elezione diretta, di fatto, del Presidente del Consiglio, e l’attribuzione ad esso di una maggioranza assoluta nell’unica Camera rimasta a dargli la fiducia. Una maggioranza ad un solo colore ed anche in questo caso a prova di bomba, visto che per buona parte i parlamentari saranno scelta dallo stesso Presidente del Consiglio.
Poi, possiamo aggiungerci che se quel sol colpo lo assesterà il Pd, la figura del Segretario e del Presidente del Consiglio coincideranno. Un sistema istituzionale verticistico caratterizzato da partiti verticistici.
Trattandosi di un solo uomo al comando qualcuno parla di “autocrazia”, ma sbaglia, perché nel nuovo sistema “ad un sol colpo” almeno una volta l’elemento democratico si esprime e anche con forza. Una legittimazione popolare c’è, magari dai tratti un po’ plebiscitari, ma c’è. Ed allora io ci provo, e da politologo della domenica azzardo una definizione: un’unica delega popolare ad un uomo solo in un solo colpo con un solo partito. Che ne dite di “monocrazia”?