Diffido sempre dalle trilogie e in genere dai protagonisti di gialli e noir che saltano di romanzo in romanzo, spesso più per la forza dei calcoli editoriali che per autentica ispirazione. E’ anche per questo che ci ho pensato parecchio, prima di avventurarmi nella lettura di “Alle radici del male” di Roberto Costantini (Marsilio), sulle orme del commissario Michele Balistreri.
Così ho messo le mani avanti, giusto per saltare subito alle conclusioni e per dirvi: non sarà un capolavoro, questo, piuttosto un libro che si legge tutto di un fiato. Soprattutto aggiunge qualcosa, non si limita a campare di rendita.
E dunque, non un sequel, ma nemmeno un prequel, anche se dalla Roma degli anni Ottanta facciamo un bel balzo indietro fino alla Libia della fine degli anni Cinquanta, prima della rivoluzione di Gheddafi e dell’espulsione della comunità italiana. Non un prequel, anche se la storia del commissario Balistreri arriva davvero alle radici, al suo passato più torbido e inconfessabile.
Però poi questa storia – e in genere è proprio così che è la vita – non procede in modo lineare – passato, presente, futuro – e non è nemmeno un cerchio che tende a chiudersi. Piuttosto è fatta di linee spezzate che si incrociano, si confondono, si sovrappongono. Di cerchi che, senza mai chiudersi, si intersecano tra di loro.
E quindi c’è qualcosa, anzi molto, che unisce la Libia di quegli anni all’Italia che abbiamo imparato a conoscere, con i giochi della politica, gli intrecci affaristici, le carriere all’ombra dei potentati. E più di un filo collega passato e presente nella storia di uno dei personaggi più controversi e complicati del noir italiano, quel Balistreri che oltre il confine del male ha abitato a lungo e che forse non ha mai saputo o voluto davvero redimersi.
Così sbagliato che si finisce per ritrovarlo dalla parte della ragione, dopo avergli dato infinite volte torto. Così autentico che non si può non volergli bene.