Nuovo metodo per la conoscenza dell’accumulo di ferro nel cuore, fondamentale per curare la talassemia, malattia ereditaria che in Italia registra circa 7.000 casi. E’ questo il frutto della ricerca della Fondazione Monasterio di Pisa, Istituto ospedaliero e di ricerca della Regione Toscana e del Cnr. “Sono davvero orgogliosa di questi risultati, si tratta indubbiamente di un successo internazionale della ricerca toscana in sanità, che si traduce in cure migliori per i pazienti, toscani e del resto d’Italia”, dice l’assessore al diritto alla salute Daniela Scaramuccia.


La malattia – Si manifesta quando entrambi i genitori sono portatori dell’alterazione di un gene dell’emoglobina; ciò comporta l’accelerata distruzione dei globuli rossi e richiede trasfusioni ogni 15-20 giorni fin dalla nascita. La conseguenza è un accumulo di ferro nei tessuti (nel cuore in particolare), che se non viene trattato con farmaci che lo rimuovono  porta allo scompenso di cuore, la più frequente causa di morte in questa malattia.


La terapia chelante – Guidata dalla conoscenza dell’accumulo di ferro nel cuore, ha aumentato significativamente l’aspettativa di vita di questi pazienti (prima non superiore ai 15 anni). Le ricerche condotte nella Fondazione Monasterio dall’unità clinica di Risonanza Magnetica diretta dal dottor Massimo Lombardi, e in particolare dalla dottoressa Alessia Pepe,  hanno rivoluzionato questo settore della patologia, grazie ad una operazione condotta in tre stadi: il primo, di ricerca, con lo sviluppo e la validazione di una tecnica originale (oggi brevettata), per la misura del carico di ferro cardiaco mediante risonanza; il secondo, tecnologico, finalizzato ad assicurare l’esportabilità della tecnica con la messa a punto delle caratteristiche della macchina e dei programmi; il terzo, sanitario, con la costituzione della rete MIOT (Myocardial Iron Overload in Thalassemia), cui partecipano già oggi 8 centri di risonanza (Pisa, Ferrara, Ancona, Roma, Campobasso, Lamezia, Catania e Palermo), che in collaborazione con oltre 60 centri ematologici nazionali, applicano la tecnologia sviluppata a Pisa.


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