Diciamo che se vogliamo raccontare in poche righe il 2014 del basket potrebbe essere molto facile. Per una volta, affidarsi alle cronache per ricordare fatti che hanno spaccato la pallacanestro italiana, cambiando la geografia delle gerarchie sportive del nostro sport preferito, sarebbe un copia-incolla corposo, ma rivisto. Ma per chi, come me, guarda questo sport dal lato tecnico (a prescindere dalla serie) l’anno 2014 lascia una serie di perle che non potevo non ricordare.
Marco Crespi, coach #somethingdifferent
Una storia sportiva, quella dell’ultima stagione della Mens Sana Basket, da raccontare. Una vera simbiosi tra chi ha vissuto una stagione di basket con la passione del tifoso e chi, da anni, ha fatto di quella passione per questo sport una professione. Non un lavoro. Un Titanic sportivo forse mai visto dove tutti, stavolta, hanno deciso di continuare a suonare mentre la nave affondava, rendendo più dolce quella gelida morte.
David Blatt, coach vincitore dell’Eurolega con il Maccabi Tel Aviv
Molto diverso da quel giovane coach che custodiva i segreti tecnici del “Princeton Offense”, (noto sistema offensivo utilizzato dalla sua università) appena arrivato in Europa. Dopo anni di gavetta in molti contesti europei ha trionfato in maniera inaspettata mostrando che il lavoro, l’esperienza e più di un boccone amaro ingoiato negli anni scorsi, unito alla fiducia di una società lungimirante, ne abbiano fatto un allenatore di altissimo profilo. Ambito nell’ultima estate “dall’altra parte del fosso”, che lo ha messo a sedere su una panchina che scotta (quella dei Cleveland Cavaliers), dovrà cercare di farsi capire ed apprezzare anche lì, con molto meno tempo a disposizione e con dinamiche ben diverse da quelle europee.
Luca Banchi, campione d’Italia con l’Olimpia Milano
Pur senza entusiasmare, con una squadra oggettivamente imbattibile, ha rischiato di “lasciarci le penne” per un tiro che entra-esce, dopo aver cercato di trasferire al nord il lato buono del cosiddetto “sistema Siena”. Ha riportato lo scudetto a Milano dopo 18 anni. Facile? Non lo credevo. La sua non è stata una passeggiata di salute. Ma lo sapeva anche lui, dall’estate precedente.
Se incontri adesso ogni appassionato di basket italiano ti dice «te lo avevo detto». L’unico che lo può dire è solo lui, il Beli. Non lo avrebbe (e non lo aveva) detto nessuno. È partito tra lo scetticismo di tutti. Ha ingoiato tanta m***a, ha rischiato ed accettato situazioni difficili e poi ha scelto il posto forse più adatto ad un europeo (lo testimonia la storia di scouting degli Spurs). È passato da un potenziale giocatore ad uno specialista, da una scommessa al più probabile successore di quel Manu Ginobili, che si trovava di fronte quanto era un ragazzino delle giovanili della Virtus, che sognava palcoscenici più grandi della pur gloriosa palestra dell’Arcoveggio. Le prime pagine sono per Popovich, Duncan e Parker, ma quel trofeo al three-point contest dell’All Star Game Nba e quel tatuaggio sul braccio sinistro sono lì a dirci che l’anello di San Antonio è anche e soprattutto – a livelli italiano – suo.
Ettore Messina, oggi assistente ai San Antonio Spurs
Ci piaccia o no, è il solito precursore. Uno che ha scelto di non stare in Italia anche perchè il suo essere vincente era diventato un peso e non un orgoglio nazionale. È il primo coach a vincere una partita seduto su una panchina dell’Nba. Il primo a diventare primo assistente di una squadra Nba, dopo aver solo assaporato quell’aria, un paio di stagioni fa, nello staff dei Los Angeles Lakers.
La massima: #siamoquesti
Ormai un modo consapevole di vivere la nostra passione per il basket. Buon anno a tutti.