Che festa imbarazzante è diventato il Natale! Con le residue scorte di ipocrisia si cerca di fronteggiare l’evento (perduta ormai la sua autentica ragion d’essere) utilizzando scene, costumi, trucco e parrucco delle passate edizioni, ma la commedia regge sempre meno. E se commedia ogni anno abbia da rappresentarsi meriterebbe optare davvero per un capolavoro del teatro e per la splendida metafora che vi è compresa: stiamo parlando di Natale in casa Cupiello.
Ebbene sì. Se il mondo con le sue tresche, egoismi e conflitti è una sorta di disastrata famiglia Cupiello in cui ciascuno replica le proprie ossessioni, converrebbe indossare le vesti del disadattato Luca per non vedere quel che succede d’attorno e dedicarsi al maniacale allestimento di o’ Presebbio. Al degrado della realtà opporre così il sogno: difenderlo, accudirlo, rimirarlo. Perché non c’è più nulla da dire, da fare, da sapere su quanto della vita fa problema; e ben venga qualcuno a dirci: “Ma che devi sapere! Che vuò sapé… Fa ‘o presebbio, tu”.
Scappare dunque dall’esistenza, dai discorsi in cui “si sono imbrogliate le lingue”. Fuggire da una realtà troppo frammentata per essere compresa, interpretata, ricondotta a una dimensione razionale. Forse ci vorrebbe davvero una Concetta (la moglie di Luca) capace di quella dolente pazienza e compassione che può ricongiungere le cose della vita al delirio. Però anch’essa è giunta all’esasperazione.
Si facciano dunque avanti tutti gli antieroi-bambini, quelli delle parole strampalate, del “parlare speciale”, e che degli adulti nemmeno capiscono la lingua. Solo il loro candore può pretendere lo spazio fisico e psicologico per allestire un presepe (una pacificata scena) in cui rifugiare i sogni e la speranza. Il loro non-sapere è la vendetta nei confronti di chi sa (o crede di sapere) già tutto. E’ il necessario paradosso per traghettare la disillusione al possibile, l’inadeguatezza della realtà al giusto della vita.
Quando all’ennesimo ed estremo tentativo di ottenere una risposta dal figlio (“te piace ‘o Presebbio?”), Luca ottiene il sospirato “sì”, il suo sguardo ingenuo si disperde (come annota Eduardo De Filippo) ”per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo”. Allora resta finalmente inservibile quella specie di diabolico ingranaggio morale giocato su un’idea che l’uno esprime e l’altro reprime. Luca muore: piuttosto giovane per essere un adulto, troppo vecchio per essere un bambino. Ma il suo presepe è stupendo, e belle tutte le cose che in quel sogno stanno ostinatamente racchiuse.