Dagli sbrecciati muri entro cui, un tempo, si generavano idee politiche, giunge tutt’oggi qualche eco che va a smorzarsi poi nel risaputo quesito se la cultura sia necessariamente di sinistra. Alla domanda così mal posta non saprei dare risposte certe, ma non ho dubbi circa il fatto che esista una sinistra che ha prodotto e continua ad esprimere una grande cultura sulla quale si è formata una visione della storia e del mondo, una coscienza altruista, un’allertata intelligenza tesa a cogliere quanto nel presente costituisca premessa di futuro. Analoga ricchezza culturale si ritrova solo nel cristianesimo, e non a caso, lungo il tempo, questi due universi si sono spesso incrociati.
Di tutto ciò esiste, peraltro, una vasta raccolta di libri che ne testimoniano pensieri e sentimenti. Ultimo in ordine di tempo è, a suo modo, il romanzo Noi di Walter Veltroni che fin dal titolo allude alla pluralità, ai destini comuni, a come le vicende dei singoli trovino un senso all’interno della storia di tutti. Nella piccola saga famigliare descritta da Veltroni c’è, infatti, il respiro (le parole, gli oggetti, i gesti) di un microcosmo domestico che dilata, però, alle attese e alle speranze condivise dai molti. I ricordi personali vanno ad alimentare e trasmettere una memoria collettiva da cui ogni ipotesi di futuro non può prescindere; pena il rischio di sprofondare nelle sabbie mobili del contingente, come se, ogni volta, si dovessero reinventare di sana pianta i sentimenti dell’amore, della giustizia, del bene comune, del progresso, della godibilità del bello e dell’inconosciuto.
Altra cosa, insomma, da certo conservatorismo (di destra?) angusto, egoista, che conosce solo una lingua (un dialetto?) in cui non esistono termini per definire quel che si trovi al di là del raggio di un rigurgito postprandiale. Una desolante ignoranza che in questo caso non ha niente a che vedere con la quantità dei libri più o meno letti, ma piuttosto con la mancanza di consapevolezza del proprio e dell’altrui esistere. Una mendicità d’animo – spesso inversamente proporzionale all’agiatezza economica – che vive delle elemosine elargite dai luoghi comuni, da certo perbenismo, dal quel letale pieno di vuoto giornalmente somministrato dalla televisione.
Scriveva Elio Vittorini nel suo Diario in pubblico che “la cultura è la forza umana che scopre nel mondo le esigenze di un mutamento e ne dà coscienza al mondo”. Ecco, se tale è (come è) la cultura di sinistra, solo alla sua scuola si può apprendere l’indispensabile speranza per un tempo futuro.