Delitti, cronaca nera, voyeurismo, racconto popolare. Il tema è d’attualità ma non certo nuovo. Almeno per chi scrive questa nota, risale addirittura ai ricordi della propria infanzia, quando, a sera, il mio sonno bambino era ninnato dalle voci che giungevano dalla cucina dove mia madre (in un domestico Tg ante litteram) leggeva al babbo le cronache del “caso Montesi”. Ovvero la misteriosa morte di Wilma Montesi, avvenente ragazza romana di ventitré anni, figlia d’un falegname e fidanzata con un poliziotto, il cui corpo era stato rinvenuto esamine sulla spiaggia di Torvaianica la mattina dell’11 aprile 1953. Brutta storia di malcostume e intrighi politici che causò addirittura una crisi della prima Repubblica. I resoconti giornalistici della vicenda scatenarono le più morbose curiosità sulla illibatezza della giovane e su un reggicalze misteriosamente sparito.
All’epoca, in mancanza della spettacolarizzazione che nei decenni successivi (oggi ne abbiano superato veramente la soglia di decenza) sarebbe stata data dai mass media alla cronaca nera, ci si organizzava, dunque, come si poteva. Ma l’elemento antropologico e psicologico che faceva da molla non era diverso da quello odierno: sbirciare le altrui sciagure in modo insistito e pruriginoso, così da soddisfare voyeurismo e autoassoluzione morale (noi non siamo come loro).
Se poi la questione vogliamo spostarla dal piano sociologico a quello culturale, la cronaca nera, con il suo bagaglio di vicende e narrazioni, offre di che riflettere. Verrebbe subito da pensare a In cold blood (“A sangue freddo”) di Truman Capote, in cui si racconta l’assassinio di un’intera famiglia realmente avvenuto in Kansas. Un romanzo inizialmente pubblicato a puntate sul New Yorker e che suscitò molteplici polemiche di natura letteraria ed etica per come l’autore, con cinico voyeurismo, si diffondesse nel racconto di quel brutale fatto di cronaca nera. E’ forse il primo romanzo-reportage della storia della letteratura attraverso cui si vuole dire quanto il racconto crudo (oggettivo) della cronaca possa surclassare la narrazione romanzesca.
Ma come ci suggerirà Gadda con Quer pasticciaccio brutto di via Merulana (un capolavoro anche dal punto di vista dell’invenzione linguistica) la realtà è molto più complessa della sua evidenza, della cosiddetta “buccia delle cose”. L’universo contraddittorio e oscuro dell’uomo è comunque e sempre un giallo irrisolto, un pasticciaccio appunto. Forse per questo motivo la cronaca nera avrebbe una sua ragione d’essere: non tanto per alimentare morbosità, ma compassione.