Comunque si concluda la crisi politica brutalmente aperta, permangono inquietanti le preoccupazioni espresse da Riccardo Nencini il 10 agosto scorso. L’eventualità di elezioni a breve resterà nell’aria e i rischi di uno sbocco dai tratti autoritari sono tutt’atro che scongiurati. E’ imprudente ricavare dal passato lezioni da applicare al presente. Tuttavia non è assurdo evocare una sorta di sindrome 1919, riflettendo sulla fase che Pietro Nenni racchiuse nel termine “diciannovismo”. Un’irrazionale ondata di demagogiche intolleranze sovrastò ogni tentativo di pacificazione e dialogo. Le elezioni del novembre, effettuate per la prima volta con il sistema proporzionale, avrebbero consentito una discreta maggioranza ai due partiti di massa, il Ppi sturziano e il rissoso Partito socialista. Neppure si tentò di trovare un accordo. Il vuoto creatosi ebbe la tragica conclusione ben nota. Circolano oggi linguaggi e imperativi che inducono a ripensare le cause – similitudini e specificità – di quel disastro. La categoria di populismo appioppata a qualsiasi soggetto semini sfiducia verso le élites dominanti ha accomunato e accomuna condizioni e stati d’animo non sempre affini e tanto meno omogenei. Molti studiosi sostengono che il populismo più che un’ideologia compiuta è un mutevole atteggiamento, destinato a concretizzatosi via via in forme peculiari. Marcatamente populista fu il movimento dei Fasci, ma sarebbe errato cavarsela etichettando come fascisti tout court quanti manifestano, non solo in Italia, contro lo strapotere dei centri finanziari e criticano una politica non più in grado di assolvere i suoi compiti. Il M5s non è da collocare sullo stesso piano della Lega, nella quale è più calzante ravvisare un demagogico nazionalpopulismo. La lotta contro il “populismo di destra” – la precisazione è d’obbligo – non si fa ripristinando meccanismi frontisti vecchio stampo. Nencini invita a costruire fin da ora «un’Alleanza Repubblicana, che riunisca le forze democratiche parlamentari, che coinvolga la società di mezzo e i tantissimi sindaci civici». Effettivamente l’area di un largo centrosinistra è in una maledetta e impacciata stasi. Lo stesso Pd, che ne dovrebbe essere componente non marginale, è frantumato in correnti e gruppuscoli che lo condannano all’impotenza. Per sconfiggere i populismi di vario tipo – e parti delle sinistre non ne sono state immuni – che hanno già condotto l’Italia in un vicolo cieco occorre dar vita ad un autentico moto costituente che fonda culture, sensibilità, generazioni. Non è questione di assommare caoticamente sigle, né su scala nazionale né per il prossimo appuntamento regionale. È inimmaginabile ipotizzare un confuso rassemblement antipopulista. All’ordine del giorno c’è ancora la credibilità di un’alleanza positiva sui contenuti: per un riformismo concreto e praticabile che stia alla base di un governo di compromesso o sia condivisa piattaforma di un’opposizione moderna. È più utile capire quali siano le ragioni del successo dei movimenti in auge che demonizzarli in nome di sacri valori venerati con retorico ossequio. L’europeismo, ad esempio, è stato perlopiù assunto con acritica euforia. Sono state marginalizzate le decisive sfide sovranazionali del governo delle migrazioni, dell’approvvigionamento energetico, della salvaguardia ambientale. Per rispondere alle accuse, non uniformi, rivolte contro questa Unione europea bisogna agire coi fatti, parlar chiaro con parole d’ordine comprensibili, non essere succubi di un asfissiante monetarismo, rilanciare il fine dell’«equità globale» (Veca). L’ora è grave. «Nel Paese che ha dato i natali al fascismo – ammonisce Federico Finchelstein – il populismo non respinge il proprio predecessore, e punta anzi a dar vita a schieramenti politici che includono scopi e idee sostenuti dai fascisti»: gli spettri del 1919 e del 1933 non consentono indifferenza. «Nella Germania degli anni trenta – ha notato Siegmund Ginzberg – andare a votare e rivotare era un sintomo dell’incapacità di dare risposte politiche alla crisi». Anche la Sindrome 1933 non fa dormire – papa Francesco ha ragione – sonni tranquilli.
Dal “Corriere Fiorentino”, 20 agosto 2019